Un intervento di restauro sulla «Tazza Cesi», della Collezione Torlonia. Foto: Lorenzo De Masi

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Un intervento di restauro sulla «Tazza Cesi», della Collezione Torlonia. Foto: Lorenzo De Masi

La strepitosa collezione Torlonia | Parla Salvatore Settis

I criteri dell’esposizione di aprile 2020: 96 opere di impressionante bellezza, una «collezione di collezioni» attraverso i secoli

Salvatore Settis, curatore con Carlo Gasparri, anticipa i criteri dell’esposizione per il cui allestimento ha scelto David Chipperfield: una «collezione di collezioni» attraverso i secoli nella quale ha scelto 96 opere di impressionante bellezza o di rilevanza storica mai più viste da quasi cinquant’anni

Professor Settis, chi erano i Torlonia?
I Torlonia sono una delle grandi famiglie principesche di Roma, la più recente in quanto all’origine del titolo di principe, ma imparentata con i Borghese e i Colonna. Hanno messo insieme una collezione che è relativamente più tarda rispetto alle collezioni di antichità Doria Pamphilj, Colonna ecc. e che però è diventata la più grande collezione privata di arte greco-romana del mondo. La loro è una nobiltà pontificia, le fortune economiche della famiglia sono di origine bancaria e agraria, risalgono all’epoca napoleonica e si sono sviluppate per tutto l’Ottocento.

Che cos’ha di eccezionale la loro collezione?
È eccezionale la qualità di moltissime opere e soprattutto il fatto che i Torlonia, avendo messo insieme la collezione nell’Ottocento, hanno potuto acquistare in blocco raccolte più antiche conservate da grandi famiglie che decadevano. Il caso più noto è quello della raffinatissima collezione del marchese Giustiniani, conservata nel palazzo dove ora c’è il Senato, che i Torlonia hanno comprato in blocco e che annovera pezzi di altissima qualità. Hanno comprato anche Villa Albani. Oggi Villa Albani Torlonia ha ancora il suo aspetto del tardo Settecento ed è una perla assoluta nel cuore di Roma che nessuno conosce.

Con quale spirito hanno comprato?
Lo spirito è probabilmente cambiato da una generazione all’altra e da un membro della famiglia all’altro. In certi casi gli oggetti antichi erano parte di proprietà immobiliari molto più vaste, ad esempio gli arredi di un palazzo. Sicuramente avevano l’intento di gareggiare con il collezionismo di antichità che a Roma era proprio delle grandi famiglie nobiliari, del papa, naturalmente, e anche dei cardinali. Un esempio molto chiaro è la collezione dei busti imperiali, ritratti di uomini e donne dell’età romana. Nel solo Museo Torlonia (senza contare Villa Albani) ce ne sono circa 180. La collezione di busti era esposta tutta insieme nelle sale del vecchio Museo Torlonia e voleva veramente competere con i busti dei Musei Capitolini e dei Musei Vaticani. È una famiglia che ha sempre pensato in grande perché voleva continuare questa tradizione: i Torlonia sono stati gli ultimi a dedicarsi a un collezionismo di antichità di queste proporzioni.

Immaginiamo che a visitare questa mostra venga una persona intelligente, sofisticata, ma assolutamente digiuna di storia classica. Perché dovrebbe trovarla interessante, a parte il valore estetico di quello che vede?
Mi sono posto questo problema quando ho preparato il progetto e la risposta che ho cercato di dare è stato di trasformare questa mostra in un racconto. Gli oggetti del Museo Torlonia che avevo a disposizione erano oltre 600. Chiaramente non si potevano esporre tutti. Ne abbiamo scelti 96. Questi 96 si potevano disporre in tante maniere, ad esempio in base alla qualità. Li abbiamo invece disposti come un racconto. Lo spiego in termini molto semplificati ed essenziali: il percorso è diviso in cinque sezioni. Nella prima sezione ci sarà un’evocazione del Museo Torlonia che è stato aperto in via della Lungara accanto a Palazzo Corsini dal 1875 fino agli anni Quaranta. In mostra una sala con una ventina di busti di uomini e donne evocherà quello che era il Museo Torlonia. Quindi il racconto inizia dal momento più recente e va a ritroso. Nella seconda sezione ci saranno i rinvenimenti di antichità nelle proprietà Torlonia che erano e che sono ancora vastissime. La terza sezione presenterà pezzi che vengono dalle collezioni del Settecento Albani e Cavaceppi. Nella quarta sezione i marmi Giustiniani, che sono di altissima qualità, saranno esposti in una grande sala che era una chiesa protestante. La quinta sala sarà dedicata ai pezzi di collezioni del Quattro e Cinquecento. Poi si aprirà una porta e si entrerà nella sala con i bronzi: la lupa romana, il Marco Aurelio, i bronzi che erano al Laterano e che ora sono nei Musei Capitolini. Insomma, ho cercato di raccontare la mostra Torlonia come una collezione di collezioni in cui i singoli pezzi, specialmente dopo il restauro, sono particolarmente impressionanti anche per via dell’allestimento di David Chipperfield che sta lavorando molto bene.

L’architetto Chipperfield sta intervenendo anche nel palazzo che ospiterà il museo?
Lui si occupa solo dell’allestimento della mostra per cui sta lavorando a strettissimo contatto con me e con il cocuratore Carlo Gasparri, che studia la collezione da molti anni. Cercheremo, con l’aiuto di un allestimento molto austero ma molto immaginativo, di puntare su varie cose. Ad esempio: a un certo punto vi è una statua che ha avuto un restauro di Bernini, un evidente motivo di interesse in più. Vi sono statue che sono state composte con vari pezzi di marmo di provenienza diversa: un braccio viene da una statua, l’altro da un’altra e cercheremo di renderlo evidente. Cercheremo di far vedere come la collezione di antichità sia sempre stata uno status symbol dalla metà del Quattrocento a tutto l’Ottocento, cosa che qualsiasi visitatore di Roma può vedere anche nei Musei Vaticani o nei Musei Capitolini, ma in questo caso faremo vedere anche il collezionismo privato come un lento accumulo. Ogni collezione contiene in sé una collezione più antica e quella a sua volta ne contiene una ancora più antica e via dicendo come una specie di scatola cinese.

I Torlonia a chi aprivano il loro museo?
Questo è difficile da ricostruire. In certi periodi deve essere stato anche aperto con un orario, non certamente con gli stessi orari dei Musei Vaticani o dei Musei Capitolini. In certi altri momenti poteva essere aperto non a tutti. Ancora oggi i Torlonia aprono Villa Albani Torlonia a chi lo chiede, ma Villa Albani è un altro caso, è una villa arredata, lì le statue sono in mezzo ai mobili ed è impensabile una folla, mentre al Museo Torlonia ci sono delle foto del conte Primoli, il famoso fotografo di fine Ottocento e primo Novecento, che mostrano il pubblico: si vedono delle signore elegantissime e degli uomini col cappello a cilindro che si muovono in mezzo ai busti romani. In quel momento il pubblico dei musei non era il pubblico di massa di oggi. Una delle sorprese, anche per gli archeologi e gli storici dell’arte, sarà di vedere in mostra opere molto famose, che sono su tutti i manuali, ma che nessuno aveva mai più visto da 50-70 anni. Questo è un altro effetto sorpresa su cui contiamo.

Che cosa ci dice oggi una scultura antica? Un tempo Winckelmann dichiarava che la bellezza è un ideale e dava per scontato che si conoscesse la storia. Ad esempio, chi erano i Cesari? A quali tipologie corrispondevano?
Noi non contiamo su questo. È chiaro che questo lo capiranno in pochi. Io conto, come in altre mostre di arte antica come quella alla Fondazione Prada (nel 2015, Ndr), sull’impatto visuale di queste cose che sono di grandissima qualità. Abbiamo cercato di fare una scelta che generi curiosità, che crei delle storie, che metta insieme delle statue in modo narrativo. Per esempio, ci sono una statua di Apollo e una statua di uno scorticato che già nelle collezioni antiche erano state accostate per visualizzare la storia di Apollo e Marsia. Naturalmente la maggior parte del pubblico non sa nulla della storia di Apollo e Marsia, ma cercheremo di raccontarla. Ci saranno due righe anche se, come in tutte le mostre che ho fatto io, ci sarà scritto pochissimo, però qualche cosa di narrativo di questo tipo ci deve essere. C’è un gruppo con un Satiro che invita a danzare una Ninfa molto giovane, una ragazzina. È una coppia che fa pensare. Vedendoli insieme al centro di una stanza l’archeologo capirà che questo è l’unico gruppo completo che esiste, una copia dell’originale greco, ma l’unico esemplare completo. Il non archeologo non capirà questo ma dirà: che cosa fanno? Questa qui perché è qui? È poco più di una bambina. Ci saranno delle domande che non potranno trovare risposta nelle didascalie, che saranno brevissime. Però la mostra sarà accompagnata, da un piccolo opuscolo insieme al biglietto d’ingresso, in cui ci saranno delle brevi narrazioni in varie lingue. Oltre che naturalmente da un catalogo, anche in inglese.

I contrasti che ci sono stati tra il principe e lo Stato italiano sono la ragione per cui le opere non sono state visibili per molti anni?
C’è stato un lungo contenzioso di cui io non conosco nemmeno bene le ragioni. Comunque l’accordo fra il Ministero e la Fondazione Torlonia, che rappresenta la famiglia, segna la fine di questo contenzioso ed è un bene per la storia dell’arte e per l’archeologia perché finalmente queste opere ridiventano visibili dopo oltre 40 anni.

Ora appartengono allo Stato?
No, sono sempre dei Torlonia.

Ritorneranno dove erano?
No. L’accordo fatto con il Ministero riguarda la mostra che serve a rilanciare gli studi e la conoscenza della collezione. Poi il Ministero e la Fondazione Torlonia troveranno insieme un edificio dove verrà riallestito l’antico Museo Torlonia. Ci vorranno circa dieci anni. La mostra con i suoi 96 pezzi è una specie di prologo. Questa è la ragione per cui rimarrà aperta a lungo: dal 3 aprile 2020 al 10 gennaio 2021, quasi 10 mesi. Peraltro sarà sul Campidoglio, un luogo particolarmente prestigioso e inaugurerà il nuovo spazio espositivo dei Musei Capitolini in Palazzo Caffarelli.

In questo modo a Roma ci saranno tre luoghi importanti dove andare a vedere la scultura antica: Palazzo Altemps, Palazzo Massimo e la mostra Torlonia.
Ci sono anche i Musei Vaticani e i Musei Capitolini. Ci sono antichità in Palazzo Colonna e in Palazzo Doria Pamphilj. Non esiste nessun luogo che ha tanti musei di antichità quanti Roma. Quindi si tratterà di allestire bene il Museo Torlonia, ma io del museo non mi occupo. La mia età non mi consente di prendere altri impegni. Ancora non si sa neppure in quale palazzo andrà.

Ho letto che si cercherà di collegare la mostra con l’esedra del Marco Aurelio.
Questo collegamento ha un valore narrativo perché in questo percorso che inizia con il Museo Torlonia di fine Ottocento e poi va a ritroso fino alle collezioni del Quattrocento, queste ultime molto importanti perché sono le prime collezioni al mondo di antichità. A Roma era facilissimo fare una collezione di antichità: si andava tra le rovine, si prendevano le statue e si portavano a casa; bastava avere un carro con dei buoi e dei facchini. Bisogna però ricordare che è lì che nasce il collezionismo, è lì che nasce l’idea di raccogliere dei pezzi d’arte. A questa idea il papa Sisto IV reagisce con un gesto politico: dona al popolo romano i grandi bronzi del Laterano. Dal Laterano li sposta al Campidoglio dove c’è ancora l’iscrizione che dice: li ho donati al popolo romano. Dunque il papa risponde al collezionismo privato con un dono al popolo. Il vero e proprio Museo Capitolino viene aperto nel 1734, però sostanzialmente nasce da lì: c’è un filo che va dalla collezione privata alla collezione pubblica con i bronzi del Laterano, alla fondazione del museo pubblico. Ciò che oggi consideriamo una cosa ovvia, il fatto che nel mondo ci sono 100mila musei circa, allora non lo era: nel 1500 non ce n’era nemmeno uno, nel 1700 non ce n’era nemmeno uno, nel 1820 c’erano 30 musei in tutta Europa. Tutto questo verrà detto nel catalogo, ma il fatto di poter aprire una porta nell’ultima stanza, dalla cui finestra si vedrà il Marco Aurelio, e trovare riunita la donazione di Sisto IV, sarà il culmine, particolarmente impressionante, del percorso.

Questo è lusinghiero per i Torlonia…
Però viene dopo la sala con pezzi delle collezioni Cesi, Cesarini, Pio da Carpi, cioè di collezioni principesche e cardinalizie del Cinquecento che poi sono passate da una raccolta all’altra fino ad arrivare alla collezione Torlonia.

I Cavaceppi sono quelli che aggiungevano i pezzi mancanti. Hanno lavorato su molti pezzi oltre che sulla propria collezione?
Sì, c’è anche stata una mostra a Londra una trentina di anni fa. I Torlonia hanno comprato una parte dello studio di Bartolomeo Cavaceppi alla sua morte. La sua non era tanto una collezione, era uno studio, una bottega di restauratore e anche una bottega di antiquario perché lui restaurava e vendeva. Abbiamo fatto una piccola scelta di pezzi dello studio Cavaceppi che sono a loro volta una piccola parte di quelli che i Torlonia hanno acquisito e una piccola parte di quello che Cavaceppi ha sparso in tutte le collezioni, specialmente in tante country house inglesi. Anche questo sarà rappresentativo di qualcosa: gli esperti potranno leggere questa mostra anche come un allestimento con testimonianze di come si restaurava in modo molto diverso nel Seicento, nel Settecento e nell’Ottocento. Questo sarà visibile per chi se ne intende e verrà raccontato nel catalogo, ma non ci saranno lunghe didascalie. Però questa occasione è stata molto importante per la ricerca perché è stata fatta da parte dei restauratori, guidati da Anna Carruba, un’indagine molto accurata. Sono state realizzate delle vere e proprie mappe con dei disegni in cui si distinguono facilmente le varie qualità di marmo; alle volte si vede che è stato usato lo stesso marmo della statua, ad esempio un marmo greco, per le parti mancanti, altre volte è evidente l’uso di un marmo di Carrara che non c’entrava niente ma che è stato «truccato» per somigliare al materiale originale. Avremo anche una statua che lasceremo con tutti i pezzi visibili in modo tale che si veda una specie di puzzle fatto con sei o sette qualità di marmo diverse che vengono da statue diverse. Credo che questo potrà incuriosire il pubblico che si chiederà che cos’è e capirà quello che è capitato in quasi tutte le statue. Dico quasi tutte perché ci sono anche dei pezzi molto impressionanti che sono interamente antichi.

Oggi nessun museo smonterebbe una scultura antica per togliere le parti settecentesche, perlomeno spero.
Spero anch’io che non ci sia più qualcuno che ancora lo faccia. Il de-restauro non usa veramente più ed è un bene. Noi infatti non abbiamo de-restaurato nulla di quello che c’era: abbiamo lasciato tutti i restauri e abbiamo evidenziato il periodo probabile del restauro. Tra l’altro abbiamo uno strumento molto importante per i marmi Giustiniani. Il marchese Vincenzo Giustiniani, persona di grandissimo gusto, committente, patrono di Caravaggio, aveva fatto pubblicare il catalogo della propria collezione naturalmente senza fotografie ma illustrata con delle incisioni. Vi figurano tutti i marmi Giustiniani, quindi possiamo vedere in che stato erano nel Seicento, poi possiamo vedere i disegni del Settecento, le foto dell’Ottocento e in certi casi, come i pezzi della collezione Cesi che erano nella villa del cardinale Cesi vicinissimo a San Pietro in Vaticano, noi abbiamo disegni cinquecenteschi di Maarten van Heemskerck per cui possiamo seguirne la storia. Non esponiamo questi disegni perché diventerebbe una mostra per un pubblico troppo specializzato. Naturalmente alcuni saranno riprodotti in catalogo.

Chi ha voluto questa mostra, lo Stato italiano?
La Fondazione Torlonia è presieduta da un nipote del principe Alessandro Torlonia, grande personalità che io ho conosciuto e che è morto a 94 anni due anni fa. Prima di morire ha costituito questa Fondazione Torlonia che gestisce Villa Albani e il Museo Torlonia, cioè le statue dell’ex Museo Torlonia. Il presidente di questa fondazione si chiama Alessandro come il nonno, ma non ha il cognome Torlonia perché è figlio di una figlia, si chiama Alessandro Poma Murialdo ed è una persona brillante che il nonno ha designato per questo, come mi aveva raccontato lui stesso. La proprietà dei marmi è di tutta la famiglia, ma la Fondazione Torlonia gestisce queste cose dal punto di vista del rapporto con il Ministero. La mostra è stata una decisione comune in accordo con il Ministero e la Soprintendenza, in particolare però della Fondazione Torlonia, con un patto con il Comune di Roma perché l’edificio in cui si svolgerà la mostra è un edificio del Comune: infatti fa parte dei Musei Capitolini. Le stanze in cui si svolgerà la mostra sorgono sopra il podio del Tempio di Giove Capitolino, il più importante tempio dell’impero romano: questa cosa ha affascinato moltissimo Chipperfield che ama il riuso come aveva fatto al Neues Museum di Berlino e altrove. Le sale destinate alla mostra poggiano su pietre che sono lì dal VI secolo a.C.

Chi finanzia la mostra?
È finanziata dagli introiti della Soprintendenza speciale di Roma, che vengono in particolare dal Colosseo, gestiti da Electa. Ma il restauro delle sculture che andranno in mostra e i relativi studi sono finanziati dalla stessa Fondazione Torlonia con l’aiuto determinante di Bulgari.

È una ditta privata a gestire fondi pubblici?
Sì, ma Electa ha l’obbligo di reinvestirli in attività di interesse pubblico indicate dalla Soprintendenza, funziona come un braccio operativo della Soprintendenza Speciale di Roma.

Ha scelto lei David Chipperfield?
D’intesa con la Soprintendenza, che mi ha presentato una lista di architetti in cui c’era il suo nome. Ho scelto lui senza esitazione.

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Un intervento di restauro sulla «Tazza Cesi», della Collezione Torlonia. Foto: Lorenzo De Masi

Anna Somers Cocks, 10 dicembre 2019 | © Riproduzione riservata

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