Lina Bolzoni
Leggi i suoi articoliUn classico, come ci ha insegnato Italo Calvino, è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. È dunque un tesoro vivente, pronto a dischiudere nuove ricchezze ai lettori e alle lettrici che via via incontra e che lo interrogano in modo diverso, facendosene incantare e/o proiettando nelle sue pagine i loro desideri, le loro angosce, i problemi che la loro età sta vivendo. Ma non è questa la sola forma in cui un classico vive.
Attraverso il tempo entra in un dialogo fecondo con le diverse forme d’arte, viene interpretato, riscritto, liberamente tradito dalle immagini, dalla musica, dai linguaggi nuovi che le nuove tecnologie rendono possibili. Inoltrarsi in questi mondi vuol dire interrogare i testi classici secondo prospettive che possono essere arricchenti, oppure sconcertanti, ma che in ogni caso sanno interrogarci sul nostro punto di vista, ci spingono magari a tornare al testo dopo averlo visto riflesso (o frantumato) nello specchio delle immagini.
È proprio in questa ottica che, ricordando Alice che si avventura in un mondo inconsueto, abbiamo pensato di ricostruire la fortuna visiva della Commedia, così come avevamo fatto per l’Orlando furioso. Quando anni fa abbiamo cominciato a lavorare per il libro che l’Istituto della Enciclopedia Italiana ha pubblicato quest’anno, La «Commedia» di Dante nello specchio delle immagini, ci siamo resi conto dal vivo che in realtà il nostro specchio si moltiplicava tendenzialmente all’infinito.
Se infatti gli studi dedicati alla Commedia costituiscono ormai quasi una biblioteca a sé stante, la fortuna del poema nelle arti visive è davvero un mondo sconfinato, in continuo e ribollente divenire. Ed è affascinante vedere come conquisti via via nuovi terreni: da zone geografiche e culturali lontane dall’Europa, alla sperimentazione di forme espressive che usano, e mescidano, antiche e nuove tecnologie. In questa «selva selvaggia», in questo intrico inestricabile di sentieri, in questo infinito di infiniti, per usare una prospettiva cara a Giordano Bruno, possiamo solo fare delle scelte, compiere alcuni percorsi, con la consapevolezza che ogni punto si può irraggiare in altre direzioni.
Del resto il poema era già ricco, per così dire, di provocazioni visive: è ordinato secondo un ordine rigoroso, in un percorso di luoghi in cui si collocano immagini memorabili, di personaggi, di premi e castighi, di paesaggi, tali da agire da imagines agentes, immagini che si imprimono nella nostra mente e ci aiutano a condividere il percorso morale, di conoscenza e di trasformazione, che Dante sta compiendo. Il poema dà inoltre spazio ai protagonisti della pittura e della miniatura contemporanea e si nutre largamente della memoria delle opere che Dante aveva visto a Firenze e nella sua peregrinazione per l’Italia.
Se nel Paradiso si misura con l’impresa di dire l’indicibile, e di rendere visibile quel che visibile non è, nel Purgatorio (canti X-XII) esalta il «visibile parlare» di Dio, che si esprime nelle sculture che sembrano vive e parlanti, e capaci di coinvolgere tutti i nostri sensi, così da diventare una sorta di immagine emblematica di quello che la Commedia sta realizzando. Anche per questa qualità «visiva» che percorre il poema non ci meraviglieremo di vedere come la sua fortuna figurativa inizi molto presto, quasi a ridosso della sua conclusione e della sua diffusione.
Il codice Trivulziano 1080, realizzato fra il 1337 e il 1338, non è probabilmente il primo codice miniato della Commedia, ma è solo, per noi, una prima testimonianza di una storia che dura fino ai nostri giorni e che deve entrare ormai a pieno diritto, accanto ai commenti, nella storia della ricezione del poema dantesco. Le immagini che accompagnano il poema non sono infatti semplici illustrazioni, qualcosa che rende più gradevole la lettura, che arricchisce il manoscritto, ma ci testimoniano diversi modi di interpretare il testo, costruiscono via via una cornice che orienta la nostra prospettiva.
Così ad esempio nei codici trecenteschi spesso Dante compare nelle immagini di apertura. Può dormire e sognare, oppure può solcare acque tempestose a bordo di una navicella. Queste diverse rappresentazioni hanno un senso preciso, perché rispondono alla questione che appassiona i committenti dei manoscritti: a quale genere letterario appartiene il poema? Quale è la natura del viaggio che ci viene narrato? È un’invenzione letteraria, un sogno allegorico, oppure è il racconto di una visione, e dunque Dante è un poeta profeta, un poeta ispirato da Dio?
La cultura umanistica ricrea il poema medievale a sua immagine e somiglianza. Lo vediamo ad esempio nello splendido codice realizzato per Federico da Montefeltro, oggi alla Biblioteca Vaticana (cod. Urb. Lat. 365), dove Paolo e Francesca, nudi ed eleganti, conversano tranquillamente con Dante e Virgilio e i modelli classici vengono in primo piano, a spese delle componenti più tipicamente medievali, di orrore, di mostruoso, di visionarietà.
Con il diffondersi della stampa la Commedia viene letta soprattutto attraverso il commento di Cristoforo Landino, che accompagna il poema per tutto il Cinquecento. La prima edizione è del 1481 in folio, un grande formato che corrisponde a un progetto ambizioso, quello di una edizione illustrata per la quale Botticelli fornisce i disegni per i primi nove canti dell’Inferno. Dopo la bancarotta dell’editore, Botticelli continua la sua opera, probabilmente su commissione di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici. Di quell’impresa ci sono rimasti 92 disegni su pergamena (85 a Berlino, gli altri alla Vaticana), mentre sono andati persi i disegni per otto canti dell’Inferno e per i due canti finali del Paradiso.
Fra Quattro e Cinquecento la cultura fiorentina si appassiona ai «siti» e alle «misure» dell’aldilà, nel tentativo di disegnare con matematica precisione la mappa del percorso dantesco. E intanto grandi pittori si ispirano alla Commedia, come Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto o Michelangelo nel Giudizio universale della Cappella Sistina.
Fra Sei e primo Settecento il panorama si fa buio, pressoché deserto. Bisogna aspettare fino al 1757-1758 per vedere, dopo gli splendori del Cinquecento, una bella edizione illustrata, uscita a Venezia da Antonio Zatta. E poi, nell’Ottocento, saranno soprattutto le illustrazioni di Doré a forgiare la memoria visiva del poema, così da costituire un punto di riferimento ineludibile per gli altri artisti.
La fortuna visiva di Dante ricomincia in Inghilterra, negli anni settanta del Settecento, e si incentra intorno a un bassorilievo che rappresenta il conte Ugolino e i suoi figli nella torre della Fame. Era opera di un nipote di Leonardo, Pierino da Vinci, ma la si attribuiva a Michelangelo. Joshua Reynolds vi dedica un quadro che avrà larga fortuna e Ugolino, la sua storia tragica, diventerà soggetto privilegiato di diversi artisti, che traggono nuova ispirazione dal poema dantesco, da Heinrich Füssli a John Flaxman, a William Blake.
Il primo romanticismo fa di Dante il suo poeta, vi proietta il suo bisogno di dare vita a forti passioni, dove amore e politica si intrecciano. Così fa in Francia Eugéne Delacroix, con la sua famosa «Barca di Dante», così faranno gli innumerevoli artisti che sono affascinati dalla storia di Paolo e Francesca da Rimini. Ugolino, Francesca, vengono al centro della scena, del tutto avulsi dalla struttura in cui Dante li aveva inseriti, del tutto liberati dunque da quella condanna morale per cui erano collocati all’Inferno.
Con il Novecento il panorama si fa particolarmente ricco e frantumato. Per gli artisti non si tratta tanto di illustrare un testo, quanto piuttosto di appropriarsi di alcuni materiali danteschi per rielaborarli secondo le proprie esigenze. Salvatore Dalí, Guttuso, Tono Zancanaro, Lorenzo Mattotti, Domenico Ferrari, Mimmo Paladino, fra gli altri si impegnano nell’impresa.
Intanto, come si accennava, entrano in gioco anche le moderne tecnologie. Significativo è il caso di «A TV Dante»: questo progetto, solo parzialmente realizzato, tra il 1984 e il 1989 vede impegnati, in Inghilterra, il regista Peter Greenaway e Tom Phillips, che nel 1985 aveva pubblicato un’edizione tradotta e illustrata dell’Inferno. La rete Channel 4, che si era affiancata alla bbc, affida ai due una versione televisiva del poema, che si fermerà ai primi otto canti dell’Inferno: un vero «gioiello della video arte internazionale», che dialoga con le diverse forme dell’arte contemporanea, dal fumetto alla cultura pop, e reinterpreta in chiave moderna i diversi livelli di significato del poema, da quello letterale a quello allegorico e anagogico.
L’opera di Francesco Scaramuzza, che viene ora riproposta nella sua interezza, ci riporta a quell’Ottocento che per tanti aspetti è stato il «secolo dantesco», in cui non solo il poema, ma la stessa biografia di Dante sono stati al centro dell’attenzione, materiale incandescente per le più diverse rielaborazioni artistiche, oltre che componenti della costruzione dell’identità nazionale. Nello stesso tempo le immagini di Scaramuzza si inseriscono, come abbiamo sinteticamente ricordato, nella ricchissima e multiforme tradizione che attraverso i secoli ha tradotto la Commedia in immagini. Se nella memoria comune la versione figurativa ottocentesca del poema è affidata alle incisioni di Doré, è importante che, nelle celebrazioni per il settimo centenario della morte del poeta, anche Scaramuzza ritrovi il suo posto, proponga di nuovo ai nostri occhi il suo modo di interpretare il «visibile parlare» della Commedia.
Il testo è uno dei saggi inclusi del volume
«SCARAMUZZA. Le tavole per la Divina Commedia»
edito dalla Società editrice Allemandi
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