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Alexander Kuznetsov, dimessosi a novembre dal suo ruolo di presidente del Comitato per il Patrimonio mondiale dell’Unesco

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Alexander Kuznetsov, dimessosi a novembre dal suo ruolo di presidente del Comitato per il Patrimonio mondiale dell’Unesco

Causa Ucraina, Unesco paralizzata dai russi

La Russia boicottata si dimette. Sostituita, in ordine alfabetico, dall’Arabia Saudita filorussa

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Anna Somers Cocks

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Il 22 novembre l’ambasciatore russo Alexander Kuznetsov ha rassegnato le dimissioni dalla presidenza del Comitato per il Patrimonio mondiale dell’Unesco, adducendo l’impossibilità di portare avanti il proprio mandato. Il successore è l’ambasciatore saudita all’Unesco, la principessa Haifa bint Abdulaziz Al-Mogrin, che presiederà anche il programma del Comitato esecutivo e la Commissione per le relazioni esterne.

Il Comitato del Patrimonio mondiale, responsabile dell’attuazione della Convenzione sul Patrimonio mondiale che dovrebbe vigilare sui 1.154 siti del patrimonio mondiale, dalla città e la laguna di Venezia ai templi di Angkor Wat, si trova in una situazione di stallo fin dall’invasione dell’Ucraina, avvenuta il 24 febbraio scorso, a causa del boicottaggio da parte della maggior parte dei membri di questo comitato intergovernativo finché la Russia è stata in carica.

Dopo un tentativo fallito di nominare un nuovo presidente, è stato cancellato l’incontro annuale, che avrebbe dovuto svolgersi in giugno a Kazan, nella Russia Sud-occidentale. Cancellate anche le celebrazioni del 50mo anniversario della Convenzione sul Patrimonio mondiale, il 16 novembre 1972, promosse dall’Unesco e dal Governo italiano a Firenze.

Le regole prevedono che la presidenza del Comitato per il Patrimonio mondiale passi al Paese successivo in ordine alfabetico, in questo caso l’Arabia Saudita, che guarda caso favorisce gli interessi della Russia: entrambi i Paesi collaborano all’interno dell’Opec (l’Organizzazione del Paesi esportatori di petrolio, Ndr) per mantenere alti i prezzi del petrolio, mentre la Russia ha votato contro una risoluzione dell’Onu per continuare a indagare sulle violazioni dei diritti umani da parte dell’Arabia Saudita in Yemen e si è rifiutata di condannare il principe Mohammed bin Salman (Mbs) per l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.

L’Unesco, come le Nazioni Unite, non ha condannato la Russia per la guerra in Ucraina, limitandosi a elencare i siti danneggiati, il 15 giugno e poi il 28 novembre, fino al recente bilancio di 98 siti religiosi, 17 musei, 78 edifici di interesse storico artistico, 18 monumenti e 10 biblioteche (che non includono nessuno dei sette siti del Patrimonio mondiale del Paese).

La forza di entrambi i rapporti è smorzata dall’avvertenza «questi dati non impegnano l’organizzazione» e dalla dichiarazione che l’Unesco sta elaborando «un meccanismo per la valutazione coordinata indipendente dei dati in Ucraina, compresa l’analisi delle immagini satellitari, in linea con le disposizioni della Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato», senza rivelare quali progressi siano stati compiuti al riguardo (se ne sono stati compiuti) nei sei mesi trascorsi tra il primo rapporto e il secondo.

Le posizioni politicamente opposte degli Stati membri sulla guerra sono state rivelate al Comitato esecutivo, riunitosi dal 15 al 19 ottobre. È stato presentato un resoconto incisivo e di prima mano sulle condizioni del patrimonio e dell’ambiente in Crimea e Ucraina, che faceva riferimento all’aggressione russa e alle azioni dell’Unesco per proteggere il patrimonio del Paese.

Ma quando si è votato se invitare il direttore generale dell’Unesco ad aggiornare la situazione nella prossima riunione, i favorevoli sono stati solo 19 (Austria, Botswana, Cile, Francia, Germania, Giappone, Islanda, Isole Cook, Italia, Lituania, Messico, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica di Corea, Spagna, Sudafrica, Svizzera, Turchia, Ungheria); tre contrari (Cina, Myanmar, Russia, ) e 28 astenuti (Afghanistan, Angola, Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Congo, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Ghana, Giordania, Grenada, India, Kenya, Kirghizistan, Kuwait, Namibia, Pakistan, Paraguay, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Dominicana, Repubblica Unita di Tanzania, Senegal, Serbia, Thailandia, Togo, Tunisia, Uruguay, Vietnam).

Tutto questo chiarisce come l’odierna frattura nella politica internazionale stia influenzando la conservazione del patrimonio culturale e naturale e quanto l’Unesco si sia allontanata dai principi alla base della Convenzione sul Patrimonio mondiale del 1972, che prevedeva la protezione dei siti come bene comune. Gli Stati membri hanno gradualmente trasformato l’originario approccio «tecnico» in un metodo via via più «politico», con alleanze e accordi segreti per far accettare nuovi siti nella lista del Patrimonio mondiale e per evitare sanzioni in caso di cattiva gestione di un sito.

Al Comitato del Patrimonio mondiale del 2021 nessun esperto ha potuto prendere la parola e gli unici dibattiti sono stati quelli tra gli ambasciatori all’Unesco, nonostante l’obbligo formale di nominare gli esperti come delegati. Così, ad esempio, Venezia e la sua laguna sono sfuggite ancora una volta alla lista del Patrimonio a rischio, nonostante la devastante minaccia dell’innalzamento del livello del mare. Il libro 50 Years World Heritage Convention. Shared Responsibility: Conflict & Reconciliation, di Roland Bernecker e Nicole Franceschini, pubblicato quest’anno da Springer e scaricabile liberamente online, traccia la degenerazione dell’idea di Patrimonio mondiale da quando, nel 1972, la Convenzione è stata firmata da 194 Nazioni.

Il volume descrive come «gli Stati che ne fanno parte si stanno abituando a trattare il patrimonio come simbolo del potere e del conflitto internazionale» e la ragione di fondo sarebbe che «la narrazione globale del Patrimonio mondiale si sta lentamente corrompendo». «Il nazionalismo sta minando l’intero sistema della cooperazione internazionale», concludono gli autori.
 

Alexander Kuznetsov, dimessosi a novembre dal suo ruolo di presidente del Comitato per il Patrimonio mondiale dell’Unesco

Anna Somers Cocks, 09 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

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