Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliUn alone quasi enigmatico, come un diaframma che lo faceva altro dal mondo, ha sempre accompagnato la figura di Marco Vallora. Che fosse coltissimo, e di molte cose, tutti sapevano. E che avesse fatto la scelta felice dell’antispecialismo (quella cosa per cui sai un po’ di tanti argomenti, invece che nulla di uno solo) era a tutti evidente.
Ma che avesse fatto scelte di un ascetismo ossessivo, per cui contavano per lui più la passione per i libri che i rapporti con le persone in carne ed ossa, era ciò che dava senso a quel vederlo sempre, e comunque, come una figura diversa dagli altri.
Vallora era al centro di una rete fitta di rapporti con molti: nato e apprezzato in contesti autorevoli, era un viaggiatore compulsivo e sin dai tempi del lavoro giovanile all’Einaudi poteva contare su conoscenze eccellenti: ma non se ne faceva scudo, e soprattutto provava orrore per i compounds intellettuali obbligatori. Preferiva isolarsi in una sorta di solitudine irrevocabile, coltivare curiosità e dubbi, rivendicare di poter scrivere, su ogni argomento, come la pensava davvero, costasse ciò che costava.
Preferiva il ruolo de «Il rompiscatole», come titolava la sua preziosa rubrica su ifioridelmale.it. Ma un rompiscatole che mai ha derogato sulla qualità della sua scrittura, scarnificata e qualche volta ustionante, in ogni caso sempre di altissima e acuminata qualità. Chi ci restituirà l’unico che ti costringeva a fermarti e riflettere anche quando non eri per nulla d’accordo con le sue posizioni?
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