Una veduta dell’allestimento della mostra genovese a Palazzo Ducale. Foto: Francesco Margaroli per Electa

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Una veduta dell’allestimento della mostra genovese a Palazzo Ducale. Foto: Francesco Margaroli per Electa

Solo a Genova Rubens poteva diventare barocco

Dopo 18 anni il pittore fiammingo torna nel capoluogo ligure con una mostra che tra le sue 25 opere conta due inediti e vari pezzi mai esposti prima in Italia. Finalmente svelate le identità dei potenti genovesi raffigurati

Inediti, scoperte e tanti Rubens in città quanti non se ne vedevano dalla fine del Settecento. La mostra «Rubens a Genova», a cura di Nils Büttner e Anna Orlando a Palazzo Ducale dal 6 ottobre al 22 gennaio, ha creato molto aspettative e si preannuncia ricca di novità anche rispetto alle precedenti tenutesi in Italia o nella stessa Genova.

Anna Orlando, nel 2004 lei è stata una dei curatori della mostra «L’Età di Rubens» realizzata quando la sua città era capitale europea della cultura. Perché ancora Rubens?

Sono passati 18 anni. Ed è quindi innanzitutto giusto parlare di questo genio assoluto della pittura alle nuove generazioni. A chi nel 2004 non era ancora nato, ad esempio. Credo molto nella mission culturale degli storici dell’arte. E le mostre sono un ottimo strumento.

Su questo argomento non era già stato detto tutto?

Per nulla. I frutti dello studio si vedono di solito dopo anni in cui pazientemente si raccolgono dati e si mettono a sistema. In questo caso il tempo che è passato è stato utile: indagini d’archivio, il coordinamento di team di lavoro che incrocia competenze e interessi, il costante confronto con gli studiosi stranieri. Solo così si ricostruisce il contesto, che è quello da cui scaturiscono i capolavori, le grandi committenze, le star dell’arte. Non ho mai smesso di studiare i pittori fiamminghi attivi a Genova nella prima metà del Seicento, un grande maestro o un petit maître, poco importa.

Però i big come Rubens danno più soddisfazione...

È piuttosto una questione di audience. Un artista così importante e conosciuto interessa a una comunità più grande. E ovviamente anche a un pubblico più ampio e trasversale. E quindi anche a chi intende produrre un evento espositivo di notevole portata.
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La mostra è prodotta da Comune di Genova, Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura ed Electa: tre partner che investono sono di per sé un segnale interessante.
Sì. Per il Comune è importante riprendere a ideare e organizzare mostre internazionali. Mancavano da un po’ e ho ragione di credere che sia la prima di una serie. Il sindaco Bucci ha una visione ben precisa della città e punta sempre in alto. Ha intuito che la carta Rubens può essere vincente e ha appoggiato subito il progetto con entusiasmo. Ma Rubens non è la sola nostra «blue chip». Electa, infine, seleziona sempre molto attentamente le iniziative sulle quali investire, comè naturale che sia per chi ha un approccio culturale e imprenditoriale insieme. Che abbia condiviso subito il nostro progetto è di per sé un segnale importante.

C’è uno sponsor unico. Formula piuttosto rara a Genova. Vero?

Sì. È un fatto eccezionale, non trattandosi di una società partecipata del Comune è un record per entità. E nasce da due coincidenze. Rimorchiatori Riuniti è una realtà imprenditoriale molto significativa della nostra città. Festeggia i cent’anni quando il libro Palazzi di Genova di Rubens ne compie 400. A questa coincidenza se ne aggiunge un’altra: la sede è in un palazzo costruito a inizio Seicento da Pietro Maria Gentile. Un collezionista su cui indago da tempo. Ora l’indagine in archivio ha portato notizie che consentono di indicarlo come uno dei più importanti committenti di Rubens. Anche perché era il genero di Nicolò Pallavicino, il maggior banchiere del duca di Mantova che aveva fatto avere a lui, ai suoi soci e parenti un numero straordinario di quadri del suo pittore di corte. Inoltre riporto a Genova un dipinto Gentile che è dato per disperso dai primi dell’Ottocento. Un inedito assoluto, esposto eccezionalmente accanto ai suoi due quadri noti, Ercole e Deianira, in prestito della Galleria Sabauda. Ebbene, ho raccontato questa storia al presidente, Gregorio Gavarone, ed evidentemente gli è piaciuta e lo ha incuriosito. Ha pensato che non vi fosse modo migliore di celebrare il centenario con un regalo alla città, sostenendo una mostra che ha al centro Genova e la sua grande stagione artistica, ma anche economica.

Come nasce la cocuratela con Nils Büttner, uno dei massimi esperti di Rubens e presidente del Centrum Rubenianum di Anversa?

Le nostre strade si sono incrociate proprio grazie al pittore. Insegna a Stoccarda e conoscevo i suoi scritti e la sua indiscussa autorevolezza e serietà. Due anni fa stava lavorando con la Staatsgalerie alla mostra che si sarebbe tenuta nell’ottobre 2021, «Becoming Famous». Al centro del progetto c’era ovviamente il doppio ritratto del museo, che raffigura un’anziana signora con una bambina, di provenienza genovese. Ma non si era mai capito chi fossero le effigiate. Büttner aveva letto i miei scritti in cui sono riuscita a «battezzare» diversi ritrattati grazie allo studio approfondito delle famiglie, la ricostruzione delle genealogie attraverso gli archivi parrocchiali, il fondo dei Notai Antichi dell’Archivio di Stato eccetera. Ho individuato una «pista» vincente», quella legata appunto a Nicolò Pallavicino e al suo socio Geronimo Serra. Da lì è stata una cascata di scoperte. Büttner mi ha invitata a Stoccarda per studiare il dipinto. Ora nonna e nipote hanno un nome: Geronima Spinola e Maria Giovanna Serra. La bambina è elegantissima, ma da lì a poco abbandonerà ogni lusso per entrare in convento. E da quel che ci «racconta» il ritratto, la sua strada era già segnata quando posa per Rubens, nel 1605. Da questo episodio è iniziata la nostra collaborazione.

Il doppio ritratto di Stoccarda è esposto a Genova?

Non poteva mancare. Sia perché è bellissimo, sia perché è la prova di come anche oggi una mostra su Rubens possa portare novità in ambito scientifico. Lo esponiamo accanto a un altro ritratto della stessa famiglia: secondo le mie ricostruzioni, la bellissima dama di Buscot Park, in Inghilterra, che abbiamo scelto come immagine della mostra, è Violante Maria Serra, figlia di Geronima e zia della fanciulla. Un’intera parete ospita un grande albero genealogico figurato che visualizza come circa la metà delle opere di Rubens realizzate per Genova si debbano a un solo clan familiare, quello Pallavicino-Serra, appunto.

Le novità riguardano solo Rubens?

No. Presentiamo circa 25 sue opere, due inediti assoluti, diversi dipinti mai esposti in Italia, identità svelate e molto altro. Ma a dire il vero la sfida è raccontare il contesto, attraverso meravigliosi manufatti, non solo quadri, ma anche sculture, libri o accessori del lusso, specie femminile, per capire fino in fondo non solo le sue opere, ma anche la storia del suo rapporto con la città, la sua amicizia con i genovesi, e, non ultima, la ragione della sua rivoluzione artistica in direzione barocca, che io credo si debba molto all’effervescenza della Repubblica dove, come dice lui stesso, è stato più volte. Ci piace presentare la mostra come una storia d’amore e come un grande ritorno. Il suo, e quello di molti quadri che erano in città e ora sono nelle più importanti raccolte pubbliche o private in Europa.

«I Palazzi di Genova», 1622, volume di Pieter Paul Rubens; Genova, Centro di Documentazione per la Storia, l’Arte e l’Immagine di Genova. © Stefano Bucciero Genova

Cristina Valota, 04 ottobre 2022 | © Riproduzione riservata

Solo a Genova Rubens poteva diventare barocco | Cristina Valota

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