«Grande quadro antifascista collettivo» (1960) di Antonio Recalcati, Enrico Baj, Erró, Gianni Giancarlo Dova, Jean-Jacques Lebel, Roberto Crippa © Courtesy Biennale di Berlino

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«Grande quadro antifascista collettivo» (1960) di Antonio Recalcati, Enrico Baj, Erró, Gianni Giancarlo Dova, Jean-Jacques Lebel, Roberto Crippa © Courtesy Biennale di Berlino

Kader Attia decolonizza la Biennale di Berlino

Al centro il concetto di «riparazione» artistica come forma di resistenza culturale capace di mappare le fratture e ricucirle in una contro-narrazione alternativa sul mondo

Dall’11 giugno al 18 settembre si tiene la 12ma Biennale di arte contemporanea di Berlino curata dall’artista francese-algerino Kader Attia (da noi intervistato) e ospitata nelle sedi espositive dell’Akademie der Künste, del Dekoloniale Memory Culture in the City, del KW Institute for Contemporary Art, della Stasi Zentrale-Campus für Demokratie e di Hamburger Bahnhof-Museum für Gegenwart Berlin. Tema di questa edizione sono il Colonialismo e i processi di decolonializzazione. «Spesso mi viene chiesto, spiega Kader Attia, che cosa venga dopo il pensiero decoloniale. Ma io sono molto più interessato all’oggi piuttosto che a quello che viene dopo, al fatto che si tratta di un discorso non chiuso, che riguarda il qui ed ora, e di una serie di atti di riparazione necessari adesso nelle nostre società».

Il colonialismo è tutt’altro che un fenomeno tramontato, questo perché più di 500 anni di pensiero dominante imperialista e di azione espansionista, vittima i Paesi più poveri, hanno a tal punto plasmato la coscienza collettiva occidentale che difficilmente lo si può sradicare nella vita reale, tanto meno pretendere di affrontarlo con distacco storico come fosse un problema risolto da tempo.

Sebbene la stragrande maggioranza dei Paesi del Sud del mondo sia riuscita a proclamarsi indipendente, vive troppo spesso in una situazione politica precaria in cui i traumi del passato si fondono all’inesperienza, alla corruzione dei governanti e a una sorta di vassallaggio, oltre che economico, culturale-mentale duro da sradicare. Nuove forme di sfruttamento capitalista, di imperialismo e di fascismo hanno ripreso a propagarsi sotto più subdole sembianze. Per decolonizzare oggi la mentalità di chi è sfruttato e di chi sfrutta, bisogna che questi disimparino quello che hanno appreso, bisogna cioè che siano tutti davvero disposti a mettere continuamente in discussione il proprio punto di vista.
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In quanto artista e attivista, Kader Attia è particolarmente interessato al concetto di «riparazione» che ritiene «una possibile forma di resistenza culturale, un tipo di capacità di agire che trova espressione in diverse pratiche e forme di conoscenza». Di questo approccio Attia fa il punto di partenza di un programma che coinvolge artisti e pubblico in un dibattito critico alla ricerca di nuovi modi per prendersi cura del presente, sradicando il pregiudizio; ed è l’arte, naturalmente, la sua forma di riparazione prediletta.

La Biennale d’Arte di Berlino è un progetto a più voci che coinvolge artisti, scienziati e attivisti di tutto il mondo chiamati a mapparne le fratture e le contraddizioni per poter poi creare contronarrazioni alternative a quella coloniale ancora dominante, e per progettare insieme nuove forme di azioni per il futuro. Del team artistico, tutto al femminile, messo insieme da Attia fanno parte Ana Teixeira Pinto (Berlino), Đỗ Tường Linh (Hanoi), Marie Helene Pereira (Dakar), Noam Segal (New York) e Rasha Salti (Beirut).

Kader Attia, curatore di questa edizione della Biennale di Berlino

Francesca Petretto, 10 giugno 2022 | © Riproduzione riservata

Kader Attia decolonizza la Biennale di Berlino | Francesca Petretto

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