Tra le meraviglie dell’arte e della scienza che affollano le sale della mostra «La città del sole: arte barocca e pensiero scientifico nella Roma di Urbano VIII», organizzata dal Museo Galileo di Firenze in collaborazione con Gallerie Nazionali d’Arte Antica e Biblioteca Nazionale centrale di Roma e aperta a Roma a Palazzo Barberini fino all’11 febbraio, è esposta un’opera di straordinaria maestria che il 29 gennaio è stata oggetto di un evento speciale alla presenza di studiosi di varie discipline.
Si tratta di un prodigioso calligramma, un testo nascosto in un’immagine, assolutamente invisibile a occhio nudo. A differenza di altri carmi figurati, solitamente ben leggibili seppur miniaturizzati, questo lo si può leggere solo con l’ausilio di un microscopio, lo strumento ottico di Galileo che all’inizio del Seicento diede nuovo impulso agli studi naturalistici. L’opera è stata esposta proprio per documentare il felice connubio tra arte e scienza che maturò nel periodo barocco, ma di recente, grazie all’evento di cui sopra, sono emerse novità di grande interesse.
Il visitatore della mostra può apprezzare a occhio nudo solo il disegno del calligramma, ovvero una «Madonna con il Bambino» disegnata su pergamena, che riproduce parzialmente una ben nota composizione di Pietro da Cortona: la «Madonna con il Bambino e Santa Martina» oggi al Louvre, riprodotta nel Seicento anche in una splendida incisione di François Spierre dedicata al cardinale Francesco Barberini. Il testo nascosto lo si intravede appena solo con l’ausilio di una lente messa a disposizione dei visitatori per l’osservazione ravvicinata, ma appare come una filigrana formata da sottilissime linee orizzontali che attraversano l’intera superficie del disegno.
Una gigantografia sulla parete in prossimità dell’opera aiuta a capire che quelle sottilissime linee altro non sono che parole, frasi, capitoli di un intero libro di quasi 500 pagine trascritto su un disegno alto poco più di 20 cm. Il libro in questione è un diffusissimo testo liturgico riformato da Urbano VIII nel 1631, l’Officium Beatae Virginis Mariae, una raccolta di salmi, preghiere, litanie e orazioni menzionate in forma di indice nell’iscrizione che incornicia la figura della Vergine, iscrizione che termina con l’avvertenza tecnica sulle modalità di lettura: HOC TAMEN ANIMADVERTENDUM EST UT DEBEAT LEGI CUM MYCROSCOPION («Bisogna avvertire che va letto con il microscopio»).
Se però il microscopio spiega come poter leggere quelle impercettibili parole che il calligrafo scrisse sotto la guida del medesimo strumento, del tutto inspiegabile resta il modo in cui quella scrittura si è potuta realizzare, ovvero quale «pennino» abbia permesso all’artefice di tracciare segni così minuti. Dell’artefice conosciamo finalmente il nome, ben leggibile con il microscopio digitale usato durante l’evento di lunedì scorso: si tratta del calligrafo «Ignatius Moliginus» che eseguì il lavoro nell’ottobre del 1642 o, più probabilmente, 1692 (la terza cifra è dubbia).
L’erudito francese Gilles Ménage (1613-92) ebbe modo di conoscerlo e lo descrive come un gran viaggiatore e conoscitore di molte lingue. Di origine svedese, a Parigi era al servizio del cardinale Angelo Ranucci ed eseguì vari calligrammi micrografici con testi «impercettibili senza l’aiuto di un microscopio» (Menagiana, Amsterdam 1693, pp. 40-42). Tra le sue opere, Ménage ricorda una Vergine, un Crocifisso e vari ritratti, tra cui quello della Delfina di Francia, eseguito tra il 1683 e il 1684 con versi micrografici composti dallo stesso calligrafo: Il Trionfo d’applausi, e di glorie figurato di purissime lettere di sua altezza reale Maria Anna Christina Vittoria di Baviera Delfina di Francia, nel quale si contengono li seguenti versi, da leggersi nella figura con il microsopion.
Del 1686 è una raccolta di poesie in lode di Luigi XIV in cui l’autore si firma Ignazio Francesco Muligin; i versi erano destinati a un calligramma oggi perduto raffigurante il Re. Del 1702 è infine una Vergine Immacolata, come la nostra interamente percorsa da un testo liturgico, firmata «Ignatio Muligino» e dedicata al Gran Principe Ferdinando de’ Medici.