Due colonne di tubi al led, come alberi di vetro alti 35 metri, sono installate in mezzo a un boschetto di alberi veri piantato al centro del Forum del Centre Pompidou-Metz, trasformato in giardino d’inverno. Uno scheletro umano di vetro, pensato per questo spazio, è sospeso al soffitto e proietta curiose ombre sulle pareti. Dal primo novembre al 14 aprile 2025 Cerith Wyn Evans è ospite del Pompidou loreno con un’installazione inedita, che mescola opere recenti e rivisita opere del passato. L’artista stesso ha scelto il titolo: «Luci prese in prestito da Metz». Perché questa scelta? «I titoli sono spesso un problema per me, ha spiegato con franchezza l’artista. Capisco la necessità di nutrire il pubblico con delle scorciatoie, ma a mio avviso limitano l’immaginazione. Ma poiché mi è stato chiesto un titolo, ho scelto di evocare uno stato transitorio, ovvero la luce. Al tempo stesso, il ciclo della luce naturale, l’alternarsi della luce diurna e notturna, sia la luce elettrica, proiettata dalla miriade di opere presentate nella mostra».
Nella Galleria 3 le pareti coperte di specchi amplificano la luce naturale che entra dalle ampie vetrate del museo, dall’originale architettura disegnata da Shigeru Ban, Jean de Gastines e Philip Gumuchdjian. Nella sala l’artista ha sparso alcune sue opere: il groviglio di neon di «Neon Forms (after Noh)» (2015-19), ispirato al teatro giapponese tradizionale del Trecento; i lampadari con le luci a intermittenza in vetro di Murano di «Mantra» (2016); i parabrezza sospesi con i vetri infranti con il martello di «Phase shifts (after David Tudor)» (2023). Siamo a cinque anni dalla grande retrospettiva che il Pirelli HangarBicocca di Milano aveva dedicato all’artista concettuale gallese, scultore e regista, di 66 anni, con il titolo «...the Illuminating Gas», nel 2019. Nel 2003 Cerith Wyn Evans aveva rappresentato il Galles alla Biennale di Venezia e partecipato al progetto «Utopia Station». Era poi tornato a Venezia nel 2017. In Francia, oltre alla partecipazione alla Biennale di Lione, sempre nel 2017, l’ultima grande mostra risale solo al 2006 e si era tenuta nel Musée d’Art Moderne de Paris. Il Centre Pompidou-Metz promette una mostra «altamente fotogenica», che «riflette il narcisismo e il voyeurismo di un’economia dell’immagine, si legge in un comunicato. Interroga il modo in cui ognuno di noi utilizza le immagini prodotte, consumate e distribuite dagli smartphone, che Cerith Wyn Evans definisce “onnipresenti dispositivi tirannici governati da algoritmi progettati per servire i nostri desideri pittorici”».