ARTICOLI CORRELATI
Sedurre, divertire, intrattenere. Creare ambiguità, provocazione ed erotismo. È anche questo (e certo non solo) lo scopo di uno scatto di Helmut Newton, al secolo Helmut Neustädter (Berlino, 1920-West Hollywood, 2004).
Ancora una volta una grande retrospettiva ripercorre la sua prolifica carriera. Dopo Milano (Palazzo Reale) e Roma (Museo dell’Ara Pacis), «Helmut Newton. Legacy» arriva a Venezia alle Stanze della Fotografia fino al 24 novembre, a cura di Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze, e di Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation. 250 immagini, un racconto fotografico scandito da sei capitoli cronologici: gli esordi, gli anni Quaranta e Cinquanta in Australia, gli anni Sessanta in Francia, i Settanta negli Stati Uniti, gli Ottanta tra Monte Carlo e Los Angeles e agli anni Novanta. Tre le traiettorie, secondo Denis Curti: Moda, Ritratto e Nudo in cui non mancano le immagini più iconiche.
È del 1975 lo scatto «Rue Aubriot», ambientato nel Marais parigino, in cui una modella veste uno smoking Yves Saint Laurent. In un’altra versione questa viene affiancata da una seconda, completamente nuda. Allo stesso anno appartengono il ritratto «Elsa Peretti as a Bunny» e «Lisa Taylor, Saint-Tropez» in cui è la donna a contemplare con compiaciuto desiderio il corpo di un uomo di cui non sembra importante ritrarre nulla più d’una parte del suo corpo scultoreo. Né potevano mancare le serie degli anni Ottanta «Nacked and Dressed» e «Big Nudes» a grandezza naturale.
Ad affiancare la monografia dedicata a Newton, insieme all’esito di una open call rivolta a giovani fotografi, è anche la mostra «Out of focus di Patrick Mimran» (fino all’11 agosto), che porta a Venezia trenta inediti scatti rappresentativi degli ultimi dieci anni di ricerca. Scatti in cui Mimran (Parigi, 1956) lavora sulla mancanza di nitidezza dell’intera immagine. «Ci troviamo nella dimensione dell’inconscio, in un perpetuo fluire iconografico di figure indefinibili, che sfidano l’occhio del pubblico a rintracciare la geometria originaria, afferma Denis Curti. Si direbbe un’opera costruita unicamente per lasciare spazio all’ambiguità, perché la fotografia, contrariamente alla sua compostezza strumentale, è pura menzogna. Ecco allora che Mimran raccoglie i frutti di quella illusione di verità e prende per mano una dimensione fiabesca facendola propria. Su tale limite incontrollabile viene restituita all’osservatore la sovranità di interpretare liberamente questa rielaborazione della realtà».