Di Giuseppe Penone (Garessio, Cn, 1947), «maestro della materia», pioniere nell’esplorare la relazione tra dimensione umana e naturale e figura chiave dell’Arte povera, è assai nota la ricerca, principalmente plastica, che dalla fine degli anni Sessanta ha varcato la soglia dei più grandi musei internazionali. A partire dal suo ciclo «Alberi», in cui travi di legno intagliate svelavano il tronco e i rami della pianta originale, l’artista ha mostrato l’importanza della fase processuale nella sua pratica creativa e la sua sensibilità verso l’infinita fluidità della materia, parte di una natura in cui ogni elemento è partecipe alla pari.
Dal 26 ottobre al 16 febbraio 2025, nella Fondazione Ferrero è allestita l’antologica «Giuseppe Penone. Impronte di luce», a cura di Jonas Storsve. Il percorso riunisce un’ampia selezione di generi e tecniche che fanno parte di una longeva produzione accomunata dal ricorrere del tema dell’«impronta» già presente in «Alpi Marittime» (1968). Qua il contatto diretto tra il corpo e il bosco è documentato dalle due fotografie in bianco e nero esposte, risultato di azioni condotte nei dintorni di Garessio, suo paese d’origine: l’artista aveva stretto attorno al tronco di un frassino la sua mano poi sostituita da un calco. Per effetto di una pressione prolungata, l’arbusto non cresceva più in uno specifico punto ma continuava a svilupparsi intorno al calco mantenendo così memoria indelebile della presa di Penone.
Sala dopo sala, il leitmotiv del suo lavoro viene declinato variamente. «Coincidenze di immagini» (1971) restituiscono la visione di un braccio in cui una striscia di pelle e un dito, di volta in volta diverso, vengono sostituiti dalle loro orme. Il titolo «Avvolgere la terra» comprende carte e piccole terrecotte, datate tra il 2015 e il 2022, in cui il gesto diviene forma fossilizzata. I punti di contatto tra mano e materia sono infatti matrice di opere essenziali ottenute da azioni semplici e primordiali. Proseguendo ci si’imbatte in affascinati lavori realizzati con spine d’acacia e che recano, ancora una volta, l’impronta di alcuni dettagli del volto dell’autore, e acquerelli su carta, tutti degli anni Duemila, in cui la superficie, o «pelle», delle foglie si presenta sotto forma di linee discontinue che danzano sui fragili supporti. Le sculture «Pensieri di foglie» manifestano il risultato del tocco creativo su fronde, rami e tronchi evocando sembianze antropomorfe con l’intento di riattivare uno scambio osmotico tra uomo e natura. Un’ampia sala è dedicata infine ai recenti e impattanti oli intitolati, per l’appunto, «Impronte di luce», mai visti in Italia e le cui dimensioni s’ispirano al Modulor di Le Corbusier mentre i colori ai campionari cromatici realizzati dall’architetto francese. «Queste tele presentano forme che evocano il corpo umano, create a partire da ingrandimenti di impronte delle mani dell’artista, il quale resta così presente lungo tutto il percorso della mostra», precisa Storsve, curatore presso il Cabinet d’art graphique del Musée National d’art moderne, Centre Georges Pompidou di Parigi sino al 2006 e, nello stesso museo, curatore capo del dipartimento di arte grafica dal 2009 al 2023.