«Forever (Stainless Steel Bicycles in Gilding)» (2013) di Ai Weiwei (particolare)

Cortesia dell’artista e di Galleria Continua. Foto: Ai Weiwei Studio e Ela Bialkowska, Okno Studio

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«Forever (Stainless Steel Bicycles in Gilding)» (2013) di Ai Weiwei (particolare)

Cortesia dell’artista e di Galleria Continua. Foto: Ai Weiwei Studio e Ela Bialkowska, Okno Studio

L’umanista Ai Weiwei a Bologna

La personale dell’artista cinese dà il via alla gestione di Opera Laboratori nei siti già parte del progetto, ora superato, Genus Bononiae di Fondazione Carisbo

«Ai Weiwei, noto per il suo approccio diretto e critico nei confronti delle questioni politiche e sociali, oltre a sfidare i simboli del potere e della cultura, come nella celebre serie di fotografie “Study of Perspective”, vuole porre delle domande e, piuttosto che fornire delle risposte univoche, invitare alla discussione e al dibattito. La sua pratica è profondamente “umanistica” e riflette una continua ricerca di espressione, condivisione e comunicazione, massimizzando le possibilità offerte dal mondo digitalizzato attraverso l’utilizzo dei social media. Attraverso la sua arte, Ai Weiwei ci incoraggia a guardare il mondo tenendo gli occhi aperti e a non accettare passivamente la realtà che viviamo, trasformando l’esperienza artistica in un potente strumento di cambiamento e consapevolezza». La considerazione di Arturo Galansino, curatore di «Ai Weiwei. Who am I?», allestita a Palazzo Fava dal 21 settembre al 4 maggio 2025, introduce la personale che dà il via alla gestione di Opera Laboratori nei siti già parte del progetto, ora superato, Genus Bononiae di Fondazione Carisbo. 

Il cinese Ai Weiwei (Pechino, 1957) è rappresentato attraverso un percorso composto da una cinquantina di opere tra installazioni, sculture, video e fotografie da cui emerge la continua dicotomia che l’artista attua tra la tradizione del suoi luoghi originari e la sperimentazione, tra la creazione artistica e la distruzione, sempre in bilico tra Cina e Occidente (ha vissuto negli Stati Uniti fino al 1993). Ne sono esempi le sculture-aquiloni in bambù e carta di riso del 2015 raffiguranti animali fantastici dal bestiario del «Classic of Mountains and Seas», il più antico testo mitologico e geografico cinese del III secolo a.C. oppure il trittico fotografico «Dropping a Han Dynasty Urn» (1995) dedicato alla cancellazione della memoria storica in Cina nel secondo ’900. Così come l’installazione «White Stones Axes» (2015), costituita da 383 utensili neolitici a richiamare l’antico passato della sua patria, fino a «Left Right Studio Material», che, attraverso frammenti di porcellana provenienti dal suo studio demolito a Pechino senza preavviso nel 2018, critica esplicitamente il potere cinese e la stessa persecuzione subita dall’artista in patria. 

Una rassegna, dunque, che mette in luce il carattere «emozionale» con quelli autobiografico e di richiamo al passato più o meno antico presenti nelle opere di Ai Weiwei: «Le mie cosiddette opere d’arte, afferma l’artista, sono tutte frutto dei miei pensieri e delle mie emozioni. Non mi pento di averle create. Riflettono autenticamente i miei veri sentimenti e le circostanze in cui mi trovavo in quei momenti, strettamente legati con le mie esperienze e la mia educazione. Non si hanno rimpianti sulla propria crescita; è parte integrante di noi, senza possibili alternative».

«The Last Supper» (2022) di Ai Weiwei. Cortesia dell’artista e di Galleria Continua. Foto: Ai Weiwei Studio e Ela Bialkowska, Okno Studio

Stefano Luppi, 19 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

L’umanista Ai Weiwei a Bologna | Stefano Luppi

L’umanista Ai Weiwei a Bologna | Stefano Luppi