Sigarette, ovunque sigarette: allora era d’obbligo, per i ragazzi, che vestivano in camicia-giacca-cravatta anche a scuola ma con i mocassini penny loafer ai piedi, come gli studenti della Ivy League americana, e più ancora per le ragazze, che della sigaretta facevano un segno di emancipazione e trasgressione, come della minigonna, del trucco pesante, delle ciglia finte. Apparentemente annoiati, questi giovani esponenti delle classi privilegiate frequentavano feste e inaugurazioni esclusive, stringendosi in circoli impenetrabili, chiusi a tutti «gli altri».
Erano le avanguardie della «Milano da bere» e Carla Cerati (1926-2016), fotografa e scrittrice, donna anticonformista e politicamente militante, in quegli anni tra i ’60 e i ’70 li fotografava con apparente distacco, in realtà con sapiente perfidia, infilzandoli, per studiarli, come fa un entomologo con gli insetti. Quelle fotografie, che andarono a comporre il libro fotografico Mondo cocktail (1974), sono esposte dal 25 settembre al 12 ottobre nella mostra «Mondo Cerati» alla Galleria Valeria Bella, insieme al loro contraltare: le immagini del progetto «Morire di classe», da lei realizzate con Gianni Berengo Gardin, che documentavano la realtà sconvolgente degli ospedali psichiatrici italiani e che tanto contribuirono alla causa dello psichiatra Franco Basaglia (1924-80) e alla legge a lui intitolata, che cancellò quei luoghi non di cura, ma di pena. Fra quegli scatti, l’immagine emblematica di un paziente che si stringe la testa tra le mani, nell’esatta postura del «Vecchio che soffre. Sulle soglie dell’eternità» dipinto da Van Gogh nel 1890, l’anno della sua morte.
Cerati, del resto, coltivò sempre uno sguardo fortemente politico: in mostra lo documentano le foto degli operai fuori dalle fabbriche, in tuta gli uomini, in grembiule scuro le donne, i volti provati, gli sguardi preoccupati, ma non amava di meno fotografare le più importanti figure culturali italiane del tempo, da Dorfles a Eco, da Quasimodo a Vittorini e Pasolini, i cui volti riunì nella mostra «Culturalmente impegnati» (1968) alla galleria Il Diaframma di Milano. O gli intellettuali spagnoli antifranchisti che rifiutarono di abbandonare la Spagna, a rischio della loro stessa vita. Senza però negarsi, più avanti negli anni, la sfida, ben più estetica e comunque riuscitissima, della fotografia d’architettura (come l’iconica «Muralla Roja» dell’architetto dissidente Ricardo Bofill) o quella del corpo femminile nudo, con la danzatrice Valeria Magli da lei trasformata in un perfetto arabesco.