Il Centre Pompidou ha di recente acquisito per il suo Musée national d’art moderne una serie di scatti di Barbara Crane, fotografa sperimentale statunitense, originaria di Chicago, morta nel 2019 a 91 anni, alla quale ora dedica una vasta monografica (dal 10 settembre al 6 gennaio 2025), realizzata in collaborazione con il Barbara B. Crane Trust. Più di 200 opere sono allestite nelle sale della Galerie de photographies, alcune tra le più emblematiche del lavoro di Barbara Crane, altre mai esposte prima. Su una carriera lunga più di sessant’anni, la curatrice Julie Jones, conservatrice al museo parigino, ha deciso di soffermarsi sui primi venticinque, dai primi anni ’60 fino al 1986, mettendo in evidenza la diversità delle tecniche utilizzate, tra cui Polaroid, gelatina ai sali d’argento e stampa al platino, e l’inventività dell’approccio fotografico.
Barbara Crane si avvicina alla fotografia in un contesto artistico segnato dallo Strutturalismo e dall’Arte concettuale. A metà degli anni ’60 ottiene il diploma dell’Institute of Design of Chicago, dove inizia a insegnare una decina di anni più tardi. Risente delle influenze di John Cage, Henri Matisse, Merce Cunningham e del cinema sperimentale: «Il suo lavoro è notevole per la sintesi a cui perviene tra la tradizione della straight photography americana e una sensibilità più sperimentale, ereditata dalle avanguardie europee e tipica degli insegnamenti della Scuola di Chicago. In questo modo, l’artista combina una totale libertà nei confronti del mezzo con un perfezionismo tecnico che la distingue dai suoi contemporanei», spiega il museo. I lavori di Barbara Crane si sviluppano soprattutto in sequenze e serie.
Una delle primissime, «Human Forms» (1965-66), realizzata nell’ambito dei suoi studi, già mostra l’interesse per la ricerca sul volume, la linea e la luce: Barbara Crane fotografa i suoi figli piccoli, senza mai mostrarne i visi, soffermandosi solo sulle forme e i contorni. Dal 1969, con la serie «Neon series», realizzata a Las Vegas lavorando sulla rappresentazione delle città e dei loro abitanti, Barbara Crane crea delle giustapposizioni di immagini, sovrapponendo un motivo luminoso, come le insegne a neon nel caso di Las Vegas, a ritratti molto ravvicinati di persone di passaggio. Una tecnica che ripropone, per esempio, nella serie «People of North Portal» (1970-71), ricca di oltre 2mila scatti, in cui, seguendo un protocollo stretto, immortala sistematicamente le persone che entrano ed escono dal Museum of Science and Industry di Chicago: «La serie, spiega il museo, è un ritratto vivente della città. Si inserisce nella tradizione della street photography americana, che si interroga sul posto del fotografo nello spazio urbano». In questi anni, Barbara Crane continua a sviluppare l’approccio della foto in sequenza, moltiplicando e demoltiplicando le immagini, creando dei «mosaici», come nelle serie «Whole Roll» (1974-75) e «Baxter Labs» (1975-76), e dei ready made fotografici di oggetti del quotidiano, come in «On the face» (1979).