Gli spazi grandiosi di Pirelli HangarBicocca, dal 2004 luogo di cultura, risuonano nuovamente del frastuono meccanico che li aveva invasi dalla loro costruzione, quand’erano sede della Breda. Ora però non si tratta più di locomotive e di colossali macchine elettriche, bensì delle macchine, funzionanti sì, ma del tutto inutili, create da Jean Tinguely, uno degli artisti più innovativi del secondo ’900. Rumorose, sbuffanti e cigolanti, le sculture cinetiche di Tinguely sono realizzate con pezzi di scarto assemblati e animati da motori che le trasformano in stupefacenti «organismi» meccanici performativi: macchine da lui incongruamente affrancate dalla schiavitù dell’utilità.
A un secolo dalla nascita dell’artista svizzero (Friburgo, 1925-Berna, 1991), Pirelli HangarBicocca apre le sue Navate alla più vasta retrospettiva realizzata in Italia dopo la sua scomparsa, e dal 10 ottobre al 2 febbraio 2025 presenta (con il Museo Tinguely di Basilea) oltre 30 sue opere realizzate tra gli anni ’50 e i ’90, scelte fra le sue più rappresentative dai curatori Camille Morineau, Lucia Pesapane e Vicente Todolí, con Fiammetta Griccioli: da «Gismo» (1960), «Ballet des Pauvres» (1961) e «Requiem pour une feuille morte» (1967) fino a «Pit-Stop» (1984) e «Shuttlecock» (1990), documenti queste ultime della sua passione per la Formula 1. Ne parliamo con Lucia Pesapane, curatrice anche della mostra di Niki de Saint Phalle, compagna di vita di Tinguely, che si apre in contemporanea al Mudec.
Dottoressa Pesapane, Tinguely esordì da pittore ma sapeva di essere «un artista del movimento» e, dice, si «arenò» finché non creò le prime sculture cinetiche. È di qui che si avvia la mostra?
Il percorso esordisce nello spazio quadrato iniziale, che introduce alle Navate, con alcune macchine spettacolari, poi si passa alle prime opere cinetiche, del 1954-59. Le primissime le espose nel 1954 a Milano, nella sua prima personale all’estero, nello studio dell’architetto Mario Ravegnani Morosini: tre sono ora in mostra. Era stato Bruno Munari (inventore delle «Macchine inutili» negli Trenta del ’900, Ndr) a introdurre Tinguely a Milano e in catalogo io evidenzio quanto lo spirito di Munari sia presente nel lavoro di Tinguely. Fu invece Pontus Hultén a suggerirgli il nome «Méta-Mecanique» per queste sculture seminali, seguite qui dalla serie dei «Baluba», lavori in cui riciclava oggetti trovati in strada, alcuni dei quali espose nel 1960 a Milano nella mostra alla galleria Apollinaire di Guido Le Noci.
Milano è una presenza costante nella vita artistica di Tinguely.
Sì, Milano, allora grande capitale industriale, era una sede d’elezione per capire la sua estetica meccanica, dell’oggetto riciclato. Fra i suoi primi estimatori ci furono figure primarie del collezionismo milanese come Giuseppe Panza di Biumo e Paolo Consolandi. E proprio a Milano nel 1960 Pierre Restany diede vita al Nouveau Réalisme, che a Milano concluse il suo percorso nel grande evento-funerale del 1970. Qui, in piazza Duomo, nel 1970 Tinguely mise in atto la performance «La Vittoria» (rievocata nella sala di documentazione che precede lo spazio espositivo), dove un gigantesco fallo esplodeva e si autodistruggeva. Lui è stato del resto uno dei primi performer in Europa, sin dal 1959, quasi in contemporanea con Allan Kaprow in America.
Esplosioni, frastuono: quanto conta il rumore nella sua opera?
Ha un ruolo fondamentale: infatti in mostra creiamo una scenografia sonora. Molti musicisti e dj, del resto, hanno preso spunto da lui.