Fino al 28 luglio l’Imago Museum propone la prima retrospettiva italiana dedicata a Elisa Maria Boglino (Copenaghen, 1905-Roma, 2002), artista sospesa tra due culture pittoriche e due patrie, la natìa Danimarca e l’Italia, dove si stabilì fin dagli anni Venti.
La mostra, a cura di Marco Nocca (Accademia di Belle Arti di Roma), riunisce dipinti provenienti da musei e collezioni private, e opere grafiche nelle quali predominava la ricerca di un protosegno («essere allieva di Matisse sarebbe stata una grande fortuna, ma forse a discapito della primordialità» disse una volta). Un’attenzione particolare è rivolta ai dipinti degli anni Trenta (la sua età migliore), all’epoca esposti alla Biennale di Venezia: da «Le alienate» (1931), il suo opus magnum in prestito dal Mart di Rovereto, a «Lavandaia» e «Ragazza con bambina». Seguì un lungo silenzio, conseguente alla seconda guerra mondiale: sposato un avvocato del luogo si rifugiò così a Santa Anastasia, in Sicilia. Il suo ritorno alla pittura avvenne nel dopoguerra, a Roma, con l’inaugurazione di un atelier personale e aperture alla scultura. Nel 1956 la sua ultima apparizione alla Biennale con tre disegni.
Elisa Maria Boglino (il nome di battesimo era Elisa Johanne Rosa Maria Maioli) è stata un’artista irriducibile alle mode e prigioniera di un sempiterno gender gap, e ha rappresentato con sguardo lungimirante la condizione femminile, la solitudine dell’epoca moderna e l’amore. A Pescara, i suoi lavori instaurano un dialogo ideale con la collezione di impressionisti nordici e quegli espressionisti tedeschi a cui si sentiva legata. Elisa si lasciò ispirare inoltre da Masaccio e Piero della Francesca, e dal più vicino Edvard Munch. «Ho sempre disegnato con il desiderio nel cuore, affermò. Di rado mi sono fatta prendere dal fantastico, disperato intellettualismo di questo secolo».