Creata nel 1991, la Biennale de Lyon, è giunta alla 17ma edizione, che si svolge dal 21 settembre al 5 gennaio 2025. Dopo la buona edizione del 2022, che aveva attirato circa 280mila visitatori, di cui molti giovani (il 46% ha meno di 26 anni), quest’anno la rassegna d’arte contemporanea, che punta a valorizzare il suo legame e il radicamento nel territorio, si ingrandisce investendo nuovi luoghi della città di Lione, non solo musei d’arte, come il MacLyon e il Musée des Beaux-Arts, ma anche spazi alternativi o pubblici, tra cui un enorme edificio industriale dell’800 riconvertito in luogo culturale, chiamato i Grandes Locos, sulle rive del fiume Rodano, la Cité Internationale de la Gastronomie, e parcheggio.
La curatela di questa edizione 2024, sul tema «Crossing the Water», è stata affidata ad Alexia Fabre, conservatrice e direttrice dell’École nationale supérieure des Beaux-Arts di Parigi, dopo essere stata per più di quindici anni alla testa del Mac Val, il museo d’arte contemporanea di Vitry-sur-Seine. I valori del vivere insieme e dell’ospitalità sono al centro dei progetti artistici presentati, alcuni site specific, altri ricostituiti sul posto creando dei dialoghi a più voci, che coinvolgono una sessantina di artisti di origini e orizzonti diversi, alcuni già affermati, altri emergenti: «Gli universi degli artisti ai quali abbiamo voluto offrire un luogo per esprimersi, compongono una partitura nello spazio, un racconto corale che incrocia la loro creazione e il loro rapporto con i luoghi, con gli altri, con le generazioni che li circondano, con le amicizie che si intrecciano, con i collettivi che si creano per condurre una lotta comune, ha osservato Alexia Fabre. Sono altrettante voci singolari che si levano per esprimere rivendicazioni, gridare ingiustizie».
Sono presentate, tra l’altro, le installazioni di Chantal Akerman, videasta sperimentale che lavora sul concetto di frontiera, di Jesper Just, che invita il pubblico a concentrarsi sulle emozioni, di Ange Leccia, che lavora sull’immagine in movimento, di Annette Messager, con il suo universo ispirato alla mitologia e all’immaginario popolare, o ancora Latifa Echakhch che, riprendendo i simboli della cultura orientale e occidentale, si interroga sulle questioni di identità. È allestito un lavoro di Christian Boltanski, scomparso nel 2021, che ha fondato tutta la sua opera sull’evocazione della memoria. Sono esposte poi installazioni di Nathan Coley, Sylvie Fanchon, Hilary Galbreaith, Sahil Naik, Jérémie Danon e Clément Courgeon.