Uno still dal video «Amor Rojo» (2022) di Dora García

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Uno still dal video «Amor Rojo» (2022) di Dora García

L’Amore Rosso di Dora García per Kollontai

Da Amant a New York un video dell’artista spagnola ricostruisce il ritratto della prima diplomatica donna nel mondo e come le sue idee hanno avuto una eco nella quarta ondata di femminismo sviluppatasi in America Latina

Lo sapevate che già nel 1920, la rivoluzione russa aveva incluso nel suo programma di cambiamento radicale della società la parità dei sessi, introducendo per la prima volta il suffragio universale, il matrimonio civile, il divorzio e persino l’aborto? C’è da meravigliarsi soprattutto se si pensa che in Italia e nella maggior parte dei Paesi europei questi diritti (divorzio e aborto) furono garantiti solo a partire dagli anni ’70. Il caso della Russia colpisce poi particolarmente se si considera che sette anni prima governava lo zar, uno dei poteri più conservatori di sempre, con alti tassi di analfabetismo e una forte presenza diffusa della chiesa cattolica sul territorio. Di questo cambiamento rivoluzionario fu protagonista Alexandra Kollontai (San Pietroburgo, 1872-Mosca, 1952). Prima donna ministro (Lenin la nominò commissaria per l’assistenza sociale nel Comitato esecutivo dei Soviet) e prima diplomatica donna nel mondo, ebbe un ruolo fondamentale nella lotta per l’emancipazione sessuale e sociale delle donne. Il suo lavoro ed eredità vengono esplorati dall’artista Dora García (Valladolid, 1965; vive a Oslo) nella trilogia di film a lei dedicati: «Love with Obstacles» (2020), «If I Could Wish for Something» (2021) e «Amor Rojo» (2022).

In «Amor Rojo», attualmente in mostra alla fondazione Amant di Brooklyn fino al 24 settembre, Dora García ricostruisce un ritratto della figura di Kollontai esplorando il modo in cui il suo pensiero rivoluzionario sia stato tradotto e trasmesso in tutto il mondo, e come le sue idee siano mutate, scomparse e riemerse attraverso differenti ondate di femminismo. Dice García: «L’idea era di analizzare in un periodo di 100 anni quali sono le idee che non sono riuscite ad avere successo, e vedere come si sono trasformate per poi riapparire nella quarta ondata di femminismo, quella sviluppatasi in America Latina». Il film infatti si incentra in particolar modo sull’eredità di Kollontai in questo Continente, specialmente in Messico dove lavorò come ambasciatrice per l’Unione Sovietica.

Uno still dal video «Amor Rojo» (2022) di Dora García

«Amor Rojo» presenta una polifonia di voci che vanno dalla lettura dei diari personali di Kollontai e dei suoi opuscoli politici, a dibattiti odierni e riflessioni collettive di gruppi Lgbtqia+. Questi emergono sullo sfondo di recenti marce di protesta da cui si leva una voce collettiva di migliaia di donne. Il film infatti si apre con le immagini delle proteste tenutesi a Città del Messico nel novembre 2021 per l’eliminazione della violenza di genere. Il suo tasso continua a essere estremamente alto, ma in Messico si sono venuti a creare movimenti femministi forti che mirano non solo all’uguaglianza tra i generi ma a una totale sovversione della società.

Due concetti elaborati da Kollontai hanno attirato in particolar modo l’attenzione di García: l’idea di Love Comradership, ovvero un amore che trascende lo spazio familiare, diventando uno strumento politico e la struttura di base di una comunità rivoluzionaria; l’idea che l’identità di classe sia più forte dell’identità di genere, ragione per cui, allora come oggi, il femminismo borghese o eurocentrico e quello delle donne lavoratrici non condividono le stesse battaglie, cosa che può anche essere estesa alla questione razziale. Si legge dai suoi opuscoli politici: «Non c’è rivoluzione politica senza una rivoluzione sessuale. La collettivizzazione è essenziale per un cambiamento della società. Che non sia la famiglia la base della società, ma il collettivo».

In quegli anni in Unione Sovietica si dibatteva sulla necessità, per uno Stato appena costituitosi, di mettere in discussione quella struttura privata per eccellenza che è la famiglia. A essere incentivata era l’idea di collettività piuttosto che l’elemento privatistico. L’opera rappresenta un invito ad avere un dibattito laico su questi grandi temi, che sono i grandi temi del nostro vivere insieme.

Durante il suo lavoro di diplomatica in Messico nel 1926-27, Kollontai presenta per la prima volta al pubblico i film di Sergej Eisenstein. «Questo, spiega García, ebbe un grande impatto sia nella storia dell’arte cinematografica che nella narrativa della rivoluzione… Nel film tenevo anche a evidenziare come gli Stati Uniti, già preoccupati per la recente rivoluzione messicana, non avvessero gradito la presenza di un’ambasciatrice dell’Unione Sovietica in Messico cercando di ostacolarla. I film di Eisenstein furono censurati dalla polizia e le persone che li proiettarono furono arrestate». A proposito del ruolo dell’arte nella società García sostiene che «ogni opera d’arte porta un messaggio rivoluzionario e ogni messaggio rivoluzionario necessita di una forma artistica, come nel caso di Eisenstein… Kollontai era interessata alla letteratura, all’architettura, al cinema, alla poesia considerandoli alleati nella costruzione di una rivoluzione, di un mondo differente».

Uno still dal video «Amor Rojo» (2022) di Dora García

Nel film, infine, compaiono numerose statue di donne, provenienti dai vari luoghi in cui è stato girato (Città del Messico, Coatepec e Mosca) che personificano diverse idee di femminilità. In una delle prime sequenze viene mostrata la statua di una donna con le braccia aperte, situata nella piazza di un teatro per bambini a Mosca. L’immagine successiva invece presenta la statua di una divinità precolombiana, protettrice del parto, nel Museo di Antropologia di Città del Messico. «Le donne che morivano di parto erano considerate delle guerriere alla stregua dei soldati che morivano combattendo in guerra, quindi c’erano molte statue che rappresentavano un sistema di protezione mistica delle donne durante il parto». Questa sequenza apre una prospettiva di femminismo decoloniale, che denuncia e mette in luce il ruolo del colonialismo nella costruzione, storica e sociale, delle categorie di razza e di genere.

Spiega García: «La ragione che veniva data agli indigeni per espropriarli delle loro terre e assassinarli era perché non erano cristiani. Una volta convertiti al cristianesimo hanno dovuto cambiare motivazione e decidere che questo avveniva perché non erano bianchi. Ma bianco e nero non esistevano come categorie prima di allora. Sono distinzioni artificiali». Durante il periodo coloniale le donne non bianche erano considerate «senza genere», sessualmente definite come donne ma prive delle caratteristiche femminili. Il femminismo decoloniale viene presentato in risposta ai limiti del femminismo eurocentrico, che spesso riproduce la missione civilizzatrice del Nord e i modelli neoliberali e capitalisti.

All’uscita della sala di proiezione vediamo esposte in una teca le «Letters of Disappointment» (2022-23): sette libri, accompagnati da alcune lettere scritte a mano, provenienti dalle ricerche dell’artista sulla storia e genealogia del pensiero femminista. Le lettere, riprese dai rispettivi libri e riscritte a mano da García, riflettono sulla complicata relazione tra socialismo e femminismo, tra conquiste della rivoluzione e promesse non mantenute. Ma se il senso di delusione può sembrare negativo, García lo presenta come un possibile punto di partenza per le future forme di resistenza: «Chi sta facendo il lavoro di Kollontai oggi?».

Luciana Fabbri, 20 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

L’Amore Rosso di Dora García per Kollontai | Luciana Fabbri

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