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Se una delle vocazioni dell’arte è l’interpretazione delle tensioni che attraversano il tempo dell’artista, è allora indubbio che la duplice proposta espositiva con cui la Collezione Maramotti apre la nuova stagione, dal 27 ottobre al 16 febbraio 2025, sia in sintonia con la cronaca degli eventi più attuali, segnati da fenomeni devastanti che perturbano la scena sociale, ambientale e politica a livello mondiale. In entrambe le mostre, indipendenti ma non estranee tra loro, il percorso si muove, infatti, tra sincronie e asincronicità, per esplorare gli effetti degli eventi catastrofici, cercando risonanze in un gioco di sconfinamenti cronologici molto liberi, talvolta addirittura estremi, a dimostrazione dell’ineluttabilità della presenza del tragico nella storia umana. «Deadweight», personale della trentenne Dominique White, vincitrice della nona edizione del Max Mara Art Prize for Women, è, infatti, una riflessione di scandaglio su temi a lei molto cari, come la Blackness e la forza di rigenerazione che può passare solo attraverso la distruzione e la destabilizzazione. La sua grande opera, composta da vari elementi polimaterici, è stata presentata in anteprima la scorsa estate nella Whitechapel Gallery di Londra, partner del Prize, ma è ora reinterpretata per adattarla alla nuova ambientazione.
Dilatata nei più ampi spazi della Collezione Maramotti, avvolta da un’atmosfera meno notturna rispetto a quella ricreata nella versione inglese, l’installazione si presenta come una spaesante esplorazione tra lacerti di relitti, nei quali è evidente, seppur non descritta, la derivazione da un naufragio. Esito di un lungo percorso di ideazione e preparazione materiale, reso possibile da un’intensa residenza di sei mesi in Italia, che ha portato White ad Agnone, Palermo, Genova, Milano e Todi per incontrare studiosi e tecnici di diverse discipline, l’intervento dell’artista e attivista ha la forza di suggerire un senso di potenza nella frammentazione. Il ferro piegato, prima a lungo trattato per attivare la corrosione marina, i legni levigati dalle onde, i brandelli di rafia e di sisal, s’impossessano dell’ambiente con una grazia e un’assertività inaspettate, come visioni di un futuro in cui la riemersione dal fondale sarà segno di una nuova era i cui equilibri di forze nasceranno dalla ribellione. I concetti di afrofuturismo, afropessimismo e idrarchia, la memoria della costante presenza del mare, tanto nella storia della schiavitù dei popoli e quanto nell’immaginario di riscatto che ancora oggi spinge a sfidarne i pericoli, sono riferimenti costanti nella ricerca di White, che li veicola nell’opera con una suggestione di immersività, rafforzata dal sentore di acqua di mare che i materiali ancora sprigionano.
A questa interpretazione personale del tema risponde con un’enfasi corale l’ampia collettiva intitolata «Attraverso i diluvi», concepita partendo dalla volontà di individuare nell’archivio della Collezione un significativo nucleo di opere, molte delle quali mai esposte, che corrispondono al tema della catastrofe, in maniera diretta o tangenziale. Declinandole nelle diverse accezioni alle quali cronaca e storia ci hanno abituato e assuefatto, le «iconografie della tragedia» reiterate dagli artisti ci pongono provocatoriamente di fronte a uno spettacolo al quale, al di là del turbamento iniziale, restiamo fondamentalmente estranei, almeno fino al momento in cui non ci toccherà in prima persona. Ed è proprio un dialogo tra presente e passato, tra il livello orizzontale al nostro tempo e un excursus che retrocede fino all’Egitto del XII secolo a. C., la chiave di originalità di questo allestimento, progettato appositamente dallo staff curatoriale della Collezione Maramotti per mettere a confronto visioni di stretta contemporaneità con lavori di diverse epoche, grazie a prestiti istituzionali, nazionali e internazionali.
Un percorso di visita circolare in cinquanta tappe asincrone e non consequenziali, dunque, che si apre e si conclude con l’emblematico dipinto ottocentesco «Oltre il diluvio» di Filippo Palizzi, proveniente dal Museo di Capodimonte, monumentale tela dove l’effetto tragico del naufragio si stempera nello spettacolo dell’uscita degli animali dall’arca. Un modo per interrogarsi su cataclismi, devastazioni, violenza, guerra, malattie dinamiche ricorrenti e incalzanti nella relazione tra dimensione umana e non umana, ma anche sulla responsabilità e sulla resilienza, sulla condanna e sulla salvezza. Tra i nomi degli autori, assolutamente in ordine sparso, figurano ad esempio Giulia Andreani e Francisco Goya, Agostino Arrivabene e Massimo d’Azeglio, Athanasius Kircher e Anselm Kiefer, Käthe Kollwitz e Margherita Manzelli. Com’è consuetudine della Collezione Maramotti, entrambi i progetti sono completati da pubblicazioni di approfondimento: «Deadweight» è documentata da un catalogo con testi di Alexis Pauline Gumb, Olamiju Fajemisin, una conversazione tra Dominique White e Bina von Stauffenberg e poesie di June Jordan, mentre «Attraverso i diluvi» è affiancata da una pubblicazione con saggi di Andrea Cortellessa, Federico Ferrari e Riccardo Venturi.