«James Baldwin» (1963 ca) di Robert Frank, New York, The Museum of Modern Art

© 2024 The June Leaf and Robert Frank Foundation

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«James Baldwin» (1963 ca) di Robert Frank, New York, The Museum of Modern Art

© 2024 The June Leaf and Robert Frank Foundation

Il centenario di Robert Frank celebrato al MoMA

Nel museo newyorkese una retrospettiva sugli ultimi sessant’anni di attività del fotografo e regista nato in Svizzera

Il 9 novembre del 1924 nasceva a Zurigo il fotografo e regista Robert Frank. Per festeggiare il centenario della sua nascita, dal 15 settembre all’11 gennaio 2025 il MoMA gli dedica una retrospettiva con i lavori degli ultimi suoi sessant’anni di carriera. «Life Dances On: Robert Frank in Dialogue», a cura di Lucy Gallun, curatrice del Dipartimento di Fotografia del museo, getta sul grande fotografo un nuovo sguardo, quello forse più sperimentale e contaminato dalle altre espressioni artistiche. 

Lucy Gallun ci racconta la progettazione della mostra e la poetica degli ultimi sessant’anni di Robert Frank.

Il libro che ha reso famoso Robert Frank, «The Americans», è del 1958. La mostra «Life Dances On: Robert  Frank in Dialogue» riguarda invece i suoi sessant’anni successivi di attività, non solo fotografica. È rimasta traccia di quel suo peregrinare in giro per l’America nella produzione più sperimentale del periodo successivo?
Sicuramente, nei decenni successivi, Frank ha continuato a rivolgere la sua macchina fotografica verso il mondo che lo circondava. La mostra si apre, infatti, con una serie realizzata nell’estate del 1958, dopo aver ultimato il libro, intitolata «From the Bus», che Frank considerava come momento di cambiamento significativo nella sua pratica, dalle immagini fisse a quelle in movimento. Anche se rimaneva in lui una certa continuità di sguardo sulle persone colte per strada, una delle differenze più significative nel suo approccio è stata riguardo l’interazione con il soggetto, come ha dichiarato Frank stesso: «Continuo a guardarmi intorno, ma non sono più l’osservatore solitario che si volta dall’altra parte dopo lo scatto dell’otturatore. Sto invece cercando di riconquistare ciò che ho visto, ciò che ho sentito e ciò che sento. Quello che so! Non c’è un momento decisivo, deve essere creato».

I contenuti dell’opera di Frank sono intimi, personali. Quanto il cambio di prospettiva espressiva ed estetica della metà degli anni Settanta riguarda direttamente la sua storia di vita?
Frank sperimentava incessantemente come manifestare i suoi sentimenti interiori nel lavoro: «Mi sono occupato maggiormente della mia vita… Ed è questo il motivo per cui, molto spesso, scelgo di raccontare la mia storia, o parte di essa, o di inventare qualcosa che sia ad essa collegata». Con il cinema, per l’appunto, ha prodotto questo tipo di narrazione. Successivamente si è rivolto al video, che ha definito «come una matita», per via del modo in cui poteva immediatamente riprodurre, cancellare, modificare e aggiungere nuovi contenuti. Inoltre, significativi sono stati anche i suoi esperimenti con la Polaroid: ampliava le immagini in stampe e combinazioni più grandi e aggiungeva parole direttamente sui negativi, fornendo un mezzo attraverso il quale sottolineare i sentimenti che voleva esprimere: «La pellicola Polaroid mi permette di aggiungere ciò che non è nella foto: posso metterci una parola, posso combinare due immagini, ci sono modi per rafforzare la sensazione che provo».

Da dove nasce il titolo della mostra, «Life Dances On: Robert Frank in Dialogue»?
La mostra prende in prestito il suo titolo dal toccante film di Frank del 1980, «Life Dances On», che l’artista ha dedicato alla memoria di sua figlia Andrea e del suo buon amico ed ex collaboratore Danny Seymour, entrambi perduti inaspettatamente a metà degli anni Settanta. «Life Dances On» enfatizza l’importanza delle persone a lui care nella sua poetica e come la sua stessa rete sociale (a New York City e a Cape Breton, in Nuova Scozia) sia stata resa ambientazione del film, facendolo diventare simbolo dell’intera mostra.

Il tema del «dialogo» è l’elemento centrale: il dialogo di Frank con gli artisti che hanno segnato la sua vita, personale e professionale, ma anche il dialogo espressivo tra i vari medium che l’artista svizzero ha usato nell’arco della sua carriera. Come avete deciso di rendere questo concetto?
Abbiamo estrapolato il concetto del «dialogo» direttamente dal lavoro di Frank. Negli anni successivi a The Americans, collaborò costantemente con altri artisti e si immerse profondamente nella sua rete sociale. Volevamo condividere un’altra prospettiva su un artista profondamente riflessivo che ha capito che il significato delle cose spesso viene dato dalle nostre relazioni con gli altri. Inoltre il «dialogue» del sottotitolo si riferisce anche alle parole di Frank, presenti durante tutta la mostra, perché nella sua poetica di questo periodo le parole avevano assunto una grande rilevanza: le metteva insieme in frasi poetiche che aggiungeva ai montaggi di immagini Polaroid; sono presenti nella sua narrazione parlata che accompagna il movimento della sua videocamera mentre vaga per le stanze e guarda fuori dalle finestre; e incise direttamente sui negativi in modo che la sua espressione emotiva diaristica diventasse parte intrinseca delle immagini. Inoltre, citazioni dell’artista sono intrecciate nel catalogo della mostra e molte di queste trovano posto anche negli elementi dello spazio espositivo: le sezioni sono denominate con frasi composte dalle parole di Frank, ad esempio.

È la prima personale di Robert Frank al MoMA. La sua opera come s’inserisce nelle vostre collezioni?
Il museo ha raccolto ed esposto il suo lavoro dal 1951 e oggi la collezione del MoMA comprende oltre 200 fotografie di Frank. Questa collezione è stata costruita attraverso l’importante donazione di Robert e Gayle Greenhill nel 2013 e, più recentemente, quella promessa da Michael Jesselson, comprendente un notevole gruppo di opere, molte delle quali sono presentate per la prima volta in questa mostra. Nel 2015, l’artista ha fatto, inoltre, un dono straordinario della sua opera completa di film e video. Da allora il Dipartimento di Cinema del Museo è impegnato in un progetto pluriennale di restauro di questi materiali. 

«From the Bus, New York» (1958) di Robert Frank, National Gallery of Art, Washington, Dc. Robert Frank Collection, Robert B. Menschel Fund. © 2024 The June Leaf and Robert Frank Foundation

Francesca Orsi, 13 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

Il centenario di Robert Frank celebrato al MoMA | Francesca Orsi

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