Il 29 aprile 1999 Vienna promulgò una legge regionale che allineava le istituzioni municipali alla Kunstrückgabegesetz, la legge sulla restituzione che il 4 dicembre 1998 aveva obbligato i musei statali austriaci a controllare le proprie collezioni e ad attivarsi in caso di beni culturali passibili di restituzione, perché rimasti impigliati nel meccanismo delle razzie naziste, o delle vendite al ribasso da parte di cittadini in fuga dal regime, o ancora del rifiuto da parte di istituzioni pubbliche a restituire nel dopoguerra.
In quanto musei municipali, parallelamente ad altre istituzioni anche il Wien Museum e lo Jüdisches Museum, il Museo Ebraico, avviarono sistematici progetti di ricerca e cominciarono a restituire. Venticinque anni dopo, i due musei fanno il punto con una doppia mostra sviluppata dai curatori Hannes Sulzenbacher (Jüdisches Museum Wien) e Gerhard Milchram (Wien Museum). Il focus di «Raub» (Rapine), allestita dal 6 giugno al 27 ottobre, è la presentazione al grande pubblico di come i beni culturali razziati trovarono la via verso le collezioni dei musei viennesi tra il 1938, anno dell’annessione dell’Austria al Reich tedesco, e il 1945: «Gli eventi concreti che consentirono quell’appropriazione di oggetti con mezzi illegali, semilegali o legalizzati, laddove la loro successiva restituzione non cancella quegli eventi criminali», spiega Gerhard Milchram.
Il percorso espositivo, ed esperienziale grazie a 24 installazioni fra l’altro cinematografiche curate da Patrick Topitschnig e Michaela Taschek, ricostruisce 12 storie esemplari e inizia nella sede distaccata del Museo Ebraico sulla Judenplatz, dove il focus sono le razzie vere e proprie: «Un luogo simbolico che sta per le migliaia di appartamenti e case di ebrei saccheggiati sia da organizzazioni naziste sia con “arianizzazioni incontrollate” da parte di persone private», continua Milchram. Ciò che vi viene tematizzato assieme alle biografie delle vittime è l’individuazione delle opere da sottrarre, il loro impacchettamento, la loro asportazione dalle dimore che avevano contribuito ad abbellire.
Nel Wien Museum, nella mostra paradigmaticamente proposto come rappresentante di tutti i musei viennesi, va in scena lo spacchettamento delle opere, il loro inglobamento in collezioni pubbliche e lo sviluppo di procedimenti di restituzione nel dopoguerra: «La mostra presenta gli stessi oggetti in due luoghi diversi: dapprima durante la loro sottrazione ai proprietari e poi durante la loro appropriazione da parte delle istituzioni di Vienna», continua Milchram.
Fra le vicende selezionate per la mostra, che intende essere anche un’installazione artistica e un temporaneo memoriale, si affacciano nomi di primo piano e di persone comuni: il lascito di Johann Strauss, un busto di Beethoven, mobili Biedermeier, una collezione di orologi, un archivio della Wiener Werstätte. «Raub» illustra anche l’attività durante il nazismo di Dorotheum e della Vugesta (ufficio della Gestapo per la gestione dei beni degli emigranti ebrei, Ndr) in quanto istituzioni fulcro nella vendita di beni depredati. Fra il 1938 e il 1945 la città di Vienna ne acquistò 1.478, presumibilmente frutto di arianizzazioni.