«Davide con la testa di Golia» (1598) di Giuseppe Cesari detto Cavalier d'Arpino (particolare), collezione Gian Enzo Sperone

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«Davide con la testa di Golia» (1598) di Giuseppe Cesari detto Cavalier d'Arpino (particolare), collezione Gian Enzo Sperone

Gian Enzo Sperone ha reso contemporaneo anche l’antico

Per Sgarbi, promotore della mostra al Mart della sua collezione, «il massimo dei galleristi ipercontemporanei ci insegna che sculture e dipinti del Cinquecento possono essere più originali delle creazioni attuali»

L'uomo senza qualità (?)

Dal 26 ottobre al 3 marzo 2024 il Mart presenta la mostra «L’uomo senza qualità. Gian Enzo Sperone collezionista», da un’idea di Vittorio Sgarbi e a cura di Denis Isaia con Tania Pistone. Il vorace collezionismo di Sperone (1939) amalgama epoche, stili, autori, in una sfrenata corsa attraverso i secoli: Warhol e Ippolito Caffi, Giacomo Balla e il Piccio, i trittici a fondo oro e le cromie di Depero, la scultura romana e l’artigianalità di Bertozzi & Casoni. Un’anteprima della mostra, che riunirà 400 opere provenienti dalla collezione privata di una delle personalità più influenti del sistema dell’arte contemporanea internazionale, gallerista, mercante d’arte e talent scout, ce la offre il presidente del Mart, Sgarbi, collezionista lui stesso mosso da non meno incontenibile passione.
 

Il sottotitolo del volume dedicato alla collezione di Sperone, «Gian Enzo Sperone. Dealer /Collector» edito nel 2019 da Allemandi, recita «Dal 350 a.C. alla settimana scorsa». La mostra al Mart cercherà di riprodurre questa vertigine temporale?

È questo l’intento. Ciò che era, nella sua dimensione di gallerista, l’ipercontemporaneità di Sperone, si è proiettata in una ricerca collezionistica che ha reso contemporaneo anche l’antico. Sperone collezionista ha compreso che un’opera del IV secolo avanti Cristo non è antica, è moderna. È lo schema che era già nella mente di Gino De Dominicis che, nei suoi paradossi, diceva che gli antichi siamo noi: un artista di 2.500 anni fa, ha esattamente 2.500 anni in meno di noi, è lui il più giovane.

La formula è quella dei «nani sulle spalle dei giganti», noi contemporanei abbiamo più anni di Fidia o di un qualsiasi maestro del passato. Loro sono all’inizio di un cammino che è arrivato fino all’oggi. In quest’ottica di rovesciamento temporale, possiamo immaginare il tracciato espositivo al Mart addirittura capovolto, dalla settimana scorsa al 350 a.C. Del resto questo è stato il reale percorso di Sperone. Personaggio sorprendente, ha vissuto da protagonista dell’arte contemporanea, mercante, amico, compagno di strada degli artisti. Il suo punto di partenza, negli anni Sessanta, è di assoluta sintonia, di perfetta sincronia con il presente artistico.

Sperone, che apre la sua prima galleria a Torino, nel 1963, con una mostra di Roy Lichtenstein, stabilisce rapporti con il pensiero più vivo di quel tempo, anche con collezionisti come Giuseppe Panza di Biumo, che era un modello di collezionista tutto volto all’attualità istantanea. Poi dalla partenza torinese arriveranno gallerie a Milano, a Roma e a New York. Il suo rapporto con l’attualità lo vede come un attore attivo, un motore della produzione artistica.

Come Leo Castelli, può essere ritenuto uno di quei galleristi che non sono stati semplicemente dei mercanti, ma animatori militanti della scena contemporanea, in un dialogo costante con gli artisti, pop, poveristi, minimalisti, concettuali, di cui diventa promotore. Altro passaggio importante per Sperone sarà poi l’incontro con Julian Schnabel, un pittore a tutto tondo, un artista compiuto, un classico. Non un creatore di facili formule, ma un inventore di energia che si proietta nell’immagine.


 

La solida conoscenza della storia dell’arte alimenta l’appassionato collezionismo che avete in comune. In che cosa siete simili e in cosa differenti?

Io ho cominciato dall’antico e poi sono arrivato, da battitore libero, a individuare alcuni artisti contemporanei, come Gnoli o López García, fuori da ogni rotta, sfuggiti al mercato come ai critici. Sperone invece ha compiuto il percorso classico del gallerista del suo tempo, ma coltivando la sua passione per l’antico. Sono percorsi simmetrici anche se capovolti. Quando ero ragazzo andavo a visitare le gallerie di Sperone e non avrei mai immaginato che potesse in futuro occuparsi di Giovanni Paolo Panini o di autori fiorentini del Seicento, di tutto un mondo che si trovava su un binario molto diverso dal suo.

Le scelte collezionistiche di Sperone sono mosse dalla scoperta che c’è più novità nel passato che nel presente. È quasi una sorta di contrappasso: trovare una scultura o un dipinto di un pittore del Cinquecento che è più originale di una creazione contemporanea. Nel mio caso, invece, il collezionare nasce da un atto critico. Acquisto un’opera, spesso, perché ho visto quello che gli altri non hanno colto e riconosciuto. Se un’opera è ben scelta, ogni giorno rinnova il piacere della scoperta.

 

C’è un’opera che gli invidia? E una qualità caratteriale?

Nel volume dedicato alla sua collezione avevo scelto di parlare del «Davide e Golia» del Cavalier d’Arpino, opera confluita, nell’Ottocento, nella raccolta del pittore Vincenzo Camuccini. Desideravo quel quadro, l’ha comprato lui, gliel’avrei invidiato in quanto magnifico, adesso sarebbe utile averlo ad Arpino, dato che ne sono sindaco. Quella prefazione è stata quasi una premonizione... Quali qualità caratteriali gli riconosco? È un uomo elegante, scettico, poco retorico, poco mercante. O forse mercante così abile da innescare un sottile percorso psicologico di sfida. Non vende, ti concede di acquistare qualcosa di così desiderabile da divenire oggetto di conquista.

 

Il collezionista crea con le sue opere un rifugio dal mondo?

È una «caccia al tesoro», come dice il sottotitolo del mio ultimo libro Scoperte e rivelazioni. Collezionando, e attribuendo a sé stessi una dimensione spirituale molto alta, è come se si volesse salvare ciò che si ama. Più che un rifugio per sé, il collezionista costruisce un rifugio per le opere, dona loro una casa sicura. È come l’adozione di un bambino, che va protetto e tenuto lontano dalla strada. Il mercato è la strada. Il non collezionista può acquistare quadri e sculture solo per motivi di opportunismo o di opportunità, mentre il vero collezionista le vuole proteggere, le vuole tutelare.

 

Le grandi collezioni dei musei nascono da nuclei collezionistici privati. Come immagina un futuro museo Sperone?

Con la mostra potremo intanto vedere quale forma assume la sua collezione nello spazio museale del Mart. Se in futuro Sperone desiderasse legare la sua collezione a un museo, in qualità di sottosegretario alla Cultura, potrei valutare con lui la questione. Proprio da Sperone, peraltro, alla Biennale di Firenze dello scorso anno acquistai per il Mart un magnifico gesso di Felice Casorati, un bassorilievo, sembra quasi un Wildt, che era parte del Teatrino di Riccardo Gualino.

Mi pare che il collezionismo di Sperone abbia qualche affinità con quello di Gualino, che nutriva pari attenzione per l’arte contemporanea e per l’antica. Perché l’autentico stimolo al collezionismo non è il voler possedere lavori di un determinato artista, o di un genere o di un’epoca, bensì cercare la qualità dell’invenzione in ogni artista, in ogni secolo. Da qui l’analogia di Sperone con Gualino, che partiva da Cimabue o dai pittori del Trecento per arrivare fino ai suoi contemporanei.

Chi sono altri collezionisti paragonabili a Sperone?

Sperone, con la sua partenza dal contemporaneo, è un caso unico. Certamente esistono altri ottimi collezionisti come Fabrizio Lemme, che ha distribuito una parte della sua raccolta donando o vendendo a musei come il Louvre o Palazzo Chigi ad Ariccia. Ma penso anche ai vari Francesco Federico Cerruti, Amedeo Lia, Luigi Koelliker.

Sperone una volta ha detto «io sono la mia collezione»: è vero anche per lei?

Il corpo di Sperone è sicuramente composto delle opere in cui si è mosso. In me, che ho scritto libri e svolto funzioni pubbliche, c’è stata anche un’espansione fisica e istituzionale. Dire «sono la mia collezione» è solo una parte di quello che io sono.

Arianna Antoniutti, 25 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

Gian Enzo Sperone ha reso contemporaneo anche l’antico | Arianna Antoniutti

Gian Enzo Sperone ha reso contemporaneo anche l’antico | Arianna Antoniutti