«Penso, diceva Enzo Sellerio, che un fotografo che sia realmente tale non può essere che uno scrittore che si esprime per immagini». Beh, a pensarci, è da un secolo e mezzo che la Sicilia è laboratorio avanzato d’incroci tra immagini e scrittura, tra narrazione e pellicola (foto o cinematografica che sia), tra verità e fantasia, «poiché non c’è verità senza fantasia» (Leonardo Sciascia in16 fotografie siciliane dall’archivio di Enzo Sellerio, Torino, 1969).
Il punto d’avvio di una storia tanto avvincente e coerente potrebbe essere scovato nella passione per la fotografia di Luigi Capuana (1839-1915), teorico del Verismo, critico del «Corriere della Sera», amico e sponsor di tanti conterranei che han fatto la storia della letteratura, non solo italiana: Verga, De Roberto, Pirandello... Capuana usava la fotografia come elemento preparatorio della scrittura; quanto a Verga, «come si disse che prima di William Turner “nessuno aveva visto la nebbia a Londra”», la Sicilia si è vista solo dopo di lui e nella sua opera «non ci sono tanto i colori del vero, quanto una specie di bianco e nero mentale, una verità acromatica» (M. Pieri, Caso Verga, Parma 1990).
Nell’evolversi dei rapporti tra scrittura e immagine in una terra di contrasti estremi, un ruolo chiave ebbe Elio Vittorini, che già ai tempi di Americana (1941) e del «Politecnico» (1946), sull’esempio dei fumetti e del cinema, si era interessato al montaggio per dar corpo a racconti fotografici di nuova concezione. Nella storia dell’editoria italiana la settima edizione di Conversazione in Sicilia, edita da Bompiani nel 1953 corredata da 118 fotografie, non ha precedenti: è il primo fototesto letterario, la prima opera in cui immagini e parole hanno pari importanza.
È dunque entro una tradizione tipica della sua isola che va inquadrata la vicenda artistica e intellettuale di Enzo Sellerio (1924-2012), figura cardine di quella trama che in Sicilia lega letteratura, politica, editoria e fotografia. Dopo gli studi in Giurisprudenza, Sellerio è inviato da Romano Bilenchi al Festival di Edimburgo del 1951; nell’autunno 1952 decide di consacrarsi alla fotografia, spronato dal pittore Bruno Caruso e stimolato dall’ammirazione per Fosco Maraini, allora residente in Sicilia con la moglie Topazia Alliata e le figlie. Nel 1954 inizia a collaborare con «Il Mondo» di Pannunzio e Flaiano, la rivista di fotografia più importante dell’epoca; nel giugno 1955 esce su «Cinema nuovo» Borgo di Dio, il suo primo reportage, salutato dai critici come capolavoro neorealista; arrivano intanto le prime mostre all’Obelisco (Roma, 1956) e alla Bussola (Torino, 1957). A metà decennio lo stile di Sellerio risente delle innovazioni introdotte da Pannunzio nel fotogiornalismo e della conoscenza di Images à la sauvette (1952), di Henri Cartier-Bresson, in cui il fotografo francese riflette ancora il gusto surrealista di André Kertész, suo maestro. L’uscita di Palermo. Porträt einer Stadt («du», luglio 1961) segna l’ingresso di Sellerio nel Gotha della fotografia mondiale: suoi scatti vengono pubblicati su «Life», «Vogue», «The Times»... Nel 1969, gli ideali condivisi da Enzo e da sua moglie Elvira Giorgianni con gli amici Nino Buttitta e Leonardo Sciascia, portano alla nascita della casa editrice Sellerio.
Negli anni ’60, si legge nel sito della casa editrice, Palermo «è una strana città. Da mille anni una delle capitali dell’Occidente, da mille anni alla periferia dell’Occidente». La nuova impresa si dichiara «periferica e interessata alle periferie», rivendicando in qualche modo un appannaggio dei siciliani di genio (Verga aveva inventato la Sicilia a Milano). Intervistato da Mario Farinella su cosa l’avesse spinto verso l’editoria, strada «addirittura impervia dalle nostre parti», Sellerio rispose: «L’isolamento provinciale in cui eravamo immersi ci era assai utile: ci faceva vedere le cose a distanza, ci liberava dalle tentazioni di assuefarci a mode e correnti. [...] La provincia permette di uscire dalla cronaca, affina il senso critico» («La camera oscura di Sellerio», in «L’Ora», 20 febbraio 1973, ora in P. Morello, Enzo Sellerio fotografo, Milano 1998). Quest’occhio critico, avulso dalle mode, guiderà sempre le scelte della maison. Tra i primi titoli stampati, Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971) di Sciascia narra le ultime settimane di vita di quel bislacco eroe dell’avanguardia che fu l’autore di Impressions d’Afrique, morto a Palermo nel 1933. Nel 1978 L’affaire Moro, sempre di Sciascia, vende 100mila copie; nell’81 Diceria dell’untore, esordio di Gesualdo Bufalino, vince il Campiello. L’exploit mondiale di Camilleri, poi, è storia ancor d’oggi, e le fortunate trasposizioni tv dei suoi romanzi paiono suggellare la lunga parabola avviata da Capuana nell’Ottocento.
Ora, in occasione del centenario di Enzo Sellerio, è visitabile a Palermo fino al 30 giugno la mostra «Bambini di Sicilia», curata da Olivia Sellerio e Sergio Troisi. Allestita nelle sale del Loggiato di San Bartolomeo, già casa dei bambini orfani e abbandonati, l’esposizione presenta in anteprima 45 degli scatti più noti del fotografo-editore (tra cui «La fucilazione» e «Offerta di un cono gelato») insieme a 45 inediti. Introducendo una sua mostra sui bambini a Tel Aviv nel 2007, Sellerio riconosceva in quell’argomento il più adatto a «dare insieme un’idea del mio lavoro e nello stesso tempo della Sicilia di mezzo secolo fa. [...] I bambini, notava, sono uno specchio dei tempi. Quando fotografavo, dilagavano per le strade, lavorando, giocando, o importunando il prossimo, occupazione preferita. Oggi la motorizzazione ha rubato lo spazio ai bambini [...] rimangono davanti al televisore, al computer o a quei giochi diabolici nei quali sono così bravi».
Aveva ragione Sciascia, per chi, come Enzo Sellerio, sa scrivere per immagini, la fotografia «È una forma che dice il passato, conferisce significato al presente, predice l’avvenire».