Una veduta della mostra «I sogni più sfrenati di Ensor. Oltre l’Impressionismo» al Kmska-Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa

© Fille Roelants

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Una veduta della mostra «I sogni più sfrenati di Ensor. Oltre l’Impressionismo» al Kmska-Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa

© Fille Roelants

Ensor, immaginazione sfrenata con radici in Monet, Bosch, Rembrandt e Michelangelo

Con quattro mostre Anversa celebra lo spirito innovatore e satirico del pittore e incisore belga che prese le mosse dal Realismo, dall’Impressionismo e dagli antichi Maestri e li fece propri fino a diventare uno degli artisti dell’avanguardia europea che rivoluzionarono l’arte di fine Ottocento 

Il «pittore delle maschere», così si era definito Ensor (Ostenda, 1860-Ostenda 1949), ma quella definizione ha condannato la sua opera a essere valutata in modo riduttivo. Ensor è molto di più del «pittore delle maschere», e le manifestazioni con cui è stato celebrato il 75mo anniversario della morte, che si sono aperte lo scorso gennaio a Ostenda con la mostra «Rose, Rose, Rose à mes yeux! James Ensor e la natura morta in Belgio (1830-1930)» hanno avuto come obiettivo proprio quello di far conoscere l’intera sua produzione. Ora le celebrazioni sono giunte al gran finale. «I sogni più sfrenati di Ensor. Oltre l’Impressionismo» è in corso fino al 19 gennaio nel Kmska-Musée Royal des Beaux-Arts di Anversa, il museo che vanta il nucleo più consistente al mondo di dipinti e in cui ha sede l’Ensor Research Project che digitalizza tutte le opere e gli scritti e studia la tecnica (tra le scoperte più interessanti il fatto che il pittore e prolifico disegnatore dipingesse senza tracciare il disegno preparatorio). Alla monografica del Kmska fanno corona altre tre esposizioni, al Fomu, al MoMu e al Museum Plantin-Moretus, che provano che l’eredità di Ensor è stata molteplice e ha ancora eco in diverse espressioni dell’arte contemporanea.

Oltre l’Impressionismo: il titolo annuncia il percorso della mostra che, presentando in ordine cronologico opere del museo di Anversa e in prestito tra gli altri da Musée d’Orsay di Parigi, MoMA di New York e National Gallery di Londra, racconta l’evoluzione dell’arte di Ensor e ha il merito di inserirla nel contesto nazionale e internazionale. Il percorso inizia quindi presentando artisti che lo hanno ispirato, a partire da Gustave Courbet, riferimento importante per la produzione iniziale. Guardando al padre del Realismo Ensor aderisce all’intento di rappresentare il mondo nella sua verità, le marine, i paesaggi e gli oggetti come si presentavano davanti agli occhi, senza significati religiosi o simbolici come avveniva per l’arte realistica precedente, ad esempio quella medievale. Le prime opere risentono dell’influenza del pittore francese (nella prima sala «L’onda», Lione, Musée des Beaux Arts) non soltanto nei soggetti, ma soprattutto del modo in cui erano dipinti. La cosa più importante che Ensor ha appreso da Courbet è la tattilità dell’aria, l’utilizzo del colore, la sua texture, la tecnica di stesura non soltanto con il pennello. Ed è con questo insegnamento che dipinge paesaggi («La palude», Tournai, Musée des Beaux-Arts; «La nuvola bianca», Bruxelles, Musée des Beaux-Arts), ciò che vede dalla finestra («Grande veduta dei tetti di Ostenda», Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts), gli interni borghesi («La mia camera preferita», Tel Aviv, Museum of Art; «La musica russa», Bruxelles, Musée Royaux des Beaux-Arts), la gente comune («Pomeriggio a Ostenda», Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts), nature morte («Il cavolo riccio», Essen, Museum Folkwang; «Natura morta di cineserie» Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts), scene di genere e ritratti, molti dei quali della sorella Mitche, della nonna e della madre. È un’epoca in cui i soggetti dei dipinti non sono più le persone importanti e i soggetti storici, ma la vita reale, compresi i poveri e le persone ai margini («Gli ubriaconi», Belfius Art Collecion). 

«Autoritratto con cappello a fiori» di James Ensor, Ostenda, Mu.ZEE. Foto: Adri Verburg

La biografia di Ensor è riflessa nella sua opera, inizialmente ispirata da «conchiglie, merletti, pesci rari impagliati, vecchi libri, incisioni, armi, porcellane cinesi, un guazzabuglio inestricabile di oggetti eterocliti» (lettera a Louis Delattre, 4 agosto 1898) venduti dalla nonna materna nella sua bottega di souvenir e articoli curiosi ad Ostenda. Dopo il 1877 compaiono rimandi agli ambienti anarchici e intellettuali con cui l’artista venne in contatto a Bruxelles, dove si era iscritto all’Accademia per poi rifiutarne molto presto gli insegnamenti troppo convenzionali e conservatori, e precisi riferimenti alla nascita del Socialismo. Sostenuto dal padre, un intellettuale di grande sensibilità, Ensor intraprende una lotta per la liberalizzazione delle mostre d’arte e si batte perché vengano organizzate dagli artisti in prima persona, anziché dai mercanti che decidevano chi ammettere e chi no. In particolare prende parte alla creazione nel 1884 del gruppo Les XX, che esercita un ruolo di primo piano nell’ambito dell’avanguardia e dell’apertura alla modernità. Il gruppo organizza mostre a Bruxelles per una decina di anni invitando artisti internazionali quali Seurat, Pissarro, Renoir e Monet. Mentre in Francia si tenevano i Salon de refusés, in Belgio il gruppo Les XX aboliva la giuria delle esposizioni e favoriva la circolazione delle novità in campo artistico

Ensor è tra i più accesi sostenitori del fatto che debbano essere gli artisti a decidere che cosa esporre anche perché la sua «Mangiatrice di ostriche» (Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts), che nel 1900 venne riscoperta e considerata la prima opera impressionista in Belgio, quando fu dipinta nel 1882 venne rifiutata dai Salon di Bruxelles e di Anversa. Il soggetto, una donna che beve vino e mangia un cibo afrodisiaco, scandalizzò la borghesia conservatrice, tanto che il dipinto doveva essere acquistato dal Museo di Liegi ma la comunità si oppose. Gli accademici dell’epoca contestarono la mancanza di prospettiva, giudicarono la figura umana troppo grande e sottolinearono che prima della stesura dei colori avrebbe dovuto esserci il disegno, ma per Ensor la linea, «nemica del genio, non può esprimere la passione, l’inquietudine, la lotta, il dolore, l’entusiasmo, la poesia, sentimenti così belli e così grandi». 

Il legame di Ensor con la sua epoca è particolarmente evidente nel suo interesse per la ricerca impressionista sul potere e la qualità della luce: il primo titolo del suo «Salon bourgeois» (Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts) era «Salon Impression». Studiò Monet e in mostra molti accostamenti evidenziano quanto si sia ispirato alla sua maniera di dipingere applicandola ad altri soggetti: in «Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre» (Anversa, Musée Royal de Beaux-Arts) ritroviamo lo stile pittorico, i colori e la tecnica della «Veduta di Bordighera» di Monet (Los Angeles, Hammer Museum), ma quello che ci colpisce è che, al contrario di Monet, Ensor non li utilizza per riprodurre una veduta o una scena reale, bensì per affrontare un soggetto tradizionale in modo rivoluzionario e provocatorio. Sullo sfondo si intravedono tre mammut, un messaggio anticlericale in un soggetto religioso: l’artista suggerisce di riscrivere la Preistoria partendo dalla ricerca scientifica anziché dalla religione

Sono i primi segnali dell’evoluzione verso quel modo di fare arte che nei secoli a venire avrebbe reso Ensor molto famoso: è la genesi delle visioni, dei sogni sfrenati e irriverenti, della tecnica rivoluzionaria in cui i colori assumono una propria forza espressiva. Intorno al 1885-86 l’artista inizia ad abbandonare il realismo; i suoi dipinti e i suoi disegni (molti in mostra in quanto equiparava il disegno alla pittura) non hanno più come soggetto ciò che lo circonda, ciò che vede con i propri occhi; il reale lascia spazio all’immaginario, a iconografie grottesche e terrificanti, a soggetti stravaganti e infernali, a creature fantastiche, a un mondo nascosto e oscuro per cui Ensor è stato assimilato al contemporaneo norvegese Edvard Munch («Serata lungo il viale Karl Johan», Bergen Rasmus Meyer Museum). Il teatro popolare, gli spettacoli di marionette, i varietà, i clown, il carnevale, il teatro macabro diventano la sua principale fonte d’ispirazione e anche la tecnica pittorica è sempre più rivoluzionaria: fino quel momento aveva infranto le regole del gioco, da quel momento inizia a riscriverle. 

Ciononostante nelle sue opere si ritrova quasi sempre un omaggio agli antichi Maestri che conosceva molto bene: in «Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre» il braccio di dio rimanda a quello affrescato da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina. È evidente anche l’assimilazione del misticismo di Odilon Redon, trasformato però attraverso altri stimoli, come il mondo fantastico di Bosch e di Brueghel che aveva studiato al Musée des Beaux Arte di Bruxelles. Accanto ai disegni di Ensor sono esposte due acqueforti di Rembrandt, «L’Annuncio ai pastori» e «La stampa dei cento fiorini», che documentano quanto l’artista belga riprenda il gioco di luci dell’olandese, e una di Goya, «La follia del carnevale», in cui è invece il soggetto a costituire un rimando preciso. 

«Gli ubriachi» (1883) di James Ensor, Belfius Art Collection

«Maschere affrontano il morte» (1888) di James Ensor, New York, MoMa

Nei numerosi dipinti in cui Ensor irride personaggi e istituzioni (in particolare la Polizia, i medici e il mondo giuridico) e stigmatizza avvenimenti accaduti (come la repressione della rivolta dei pescatori di Ostenda) convivono elementi macabri e sinistri (molti scheletri, spesso vestiti) e aspetti satirici, comici e umoristici: il significato dei teschi non è quello della Vanitas seicentesca, è sempre connesso a un’ironia irridente. Le «Tentazioni di sant’Antonio» (prestito dell’Art Institute di Chicago quasi irripetibile data la fragilità del grande disegno composto da 51 fogli incollati insieme) contengono vari accostamenti provocatori, come la vulva accanto a sant’Antonio e il cappello della polizia indossato da Cristo. 

Benché non rappresentino che una percentuale contenuta nell’ambito di una produzione ampia e variegata, i dipinti di maschere hanno rivestito un ruolo importante e sono ben rappresentati in mostra («Le maschere che si burlano della morte», New York, The Museum of Modern Art; «L’intrigo», Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts). Il curatore Herwig Todts e il cocuratore Adriaan Gonnissen li hanno selezionati con l’intento di evidenziare che, a differenza delle maschere utilizzate da artisti come Emil Nolde (1867-1956) per nascondere misteriosamente l’identità di una persona, quelle di Ensor non sono indossate, sono maschere vive che mostrano la vera natura dell’uomo mettendone a nudo l’ipocrisia

Il pittore belga è stato assimilato alle personalità tormentate del Simbolismo, ma la mostra fa emergere un umorismo beffardo, perfino lirico ed esilarante forse sottovalutato: si vedano a questo proposito «Gli scheletri che vogliono scaldarsi», Fort Worth, Kimbell Art Museum e «Scheletri nell’atelier», Ottawa, National Gallery of Canada). Uno dei tratti peculiari di quest’artista fuori degli schemi consiste nel fatto che spesso ha rimesso mano a dipinti degli anni precedenti per aggiungervi particolari con cui si prendeva gioco della serietà del soggetto. L’ironia è anche autoironia: nell’«Autoritratto con cappello con fiori» del 1883 (Ostenda, Mu.ZEE) il vistoso cappello di paglia (il rimando questa volta è a Rubens) è stato aggiunto cinque anni dopo.

Nello scenografico allestimento delle oltre 200 opere in mostra al Kmska una lanterna magica allude alla fascinazione di Ensor per gli albori del cinema; di grande effetto anche la parete con una collezione di maschere teatrali e la ricostruzione di una cabina di quelle usate dai borghesi sulla spiagge di Ostenda, che da piccolo borgo di pescatori si trasformò in stazione balneare attrezzata e di gran moda dopo che nel 1834 l’imperatore Leopoldo I ne fece la sua residenza estiva.

Tre mostre affiancano la monografica del Kmska. Fino al 2 febbraio il Momu affronta il tema del trucco che, al pari di una maschera, nasconde le insicurezze. «Masquerade, make up & Ensor» prende le mosse da un ritratto di Mitche con un parasole di un rosso acceso e un rossetto dello stesso colore, che Ensor ha aggiunto dopo aver ritratto il volto struccato della sorella, e dall’opera musicale scritta dall’artista, «La gamme d’amour», storia d’amore impossibile tra due maschere. Dal momento che le maschere di Ensor smascheravano la vera natura dei personaggi e il loro ricorso all’inganno, i curatori Kaat Debo, Elisa De Wyngaert e Romy Cocks hanno invitato i make-up artist Martin Margiela, Issy Wood, Genieve Figgis, Tschabalala Self e Harley Weir a riflettere su temi universali quali l’artificio, la pura di invecchiare, le imperfezioni e canoni della bellezza convenzionale.

Gli ideali della bellezza e della moda sono alla base anche delle provocatorie fotografie in mostra nella prima personale in Belgio di Cindy Sherman, allestita fino al 2 febbraio al Fomu a cura di Rein Deslé e Anne Ruygt. Come Ensor, l’artista statunitense affronta con ironia e gusto per il grottesco i vari stereotipi umani ricorrendo al trucco con il quale assume sembianze sempre diverse. 

E per finire non si può ripartire da Anversa senza aver visitato il Museo Plantin Moretus, che per la sua unicità è inserito nel Patrimonio Unesco. Nell’edificio originario, con un incantevole giardino interno, la celebre stamperia cinquecentesca di Chistophe Plantin e Jan Moretus, amico di Rubens, conserva intatti gli arredi, la biblioteca e tutti i macchinari tipografici, tra cui le due più antiche presse di stampa al mondo. Qui fino al 19 gennaio è allestita «Stati dell’immaginazione di Ensor», esposizione dedicata alla straordinaria avventura grafica dell’artista che sperimentò a fondo le tecniche dell’incisione (litografia, acquaforte, acquatinta, punta secca) studiando anche in questo campi gli Antichi Maestri (Rembrandt prima di tutti), per poi imboccare una strada sperimentale e molto personale che lo portò a realizzare 130 incisioni. Si legge in un suo scritto: «L’incisione è un’alchimia, un’arte diabolica con il profumo dello zolfo e del mercurio». Curata da Izanna Muller e Willemijn Stammis, la mostra mette in evidenza l’unicità di ogni foglio di Ensor accostando disegni preparatori, lastre di rame e di zinco trattate con vernici e acidi differenti (cloridrico, nitrico e sulforico), più stati delle stesse acqueforti, stampe con inchiostro nero o rosso, stampe colorate ad acquarello e in altri modi, stampe su supporti di materiali e colori diversi (carta, pergamena, seta, carta giapponese), stampe successivamente modificate con il disegno o altre tecniche. «Se volete conoscere meglio Ensor, osservate le sue acqueforti e scoprirete il vero artista»: il poeta belga Émile Verhaeren aveva colto nel segno.

«Scheletri mentre si scaldano» di James Ensor, Fort Worth, Kimbell Art Museum

Barbara Antonetto, 18 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

Ensor, immaginazione sfrenata con radici in Monet, Bosch, Rembrandt e Michelangelo | Barbara Antonetto

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