Dal 23 ottobre all’11 gennaio 2025 l’Instituto Cervantes di Piazza Navona a Roma ospita, nel centenario della nascita, una mostra di Eduardo Chillida (1924-2002) che dialoga con la città. Il curatore Javier Molins, presentando la mostra composta di 41 opere, ha parlato della matrice barocca dell’arte di Chillida e del suo amore per Gian Lorenzo Bernini, come per tutta la grande arte del passato. E siccome la sede dell’istituto culturale spagnolo affaccia, con una vetrina, proprio sul grande teatro d’acqua e pietra della Fontana dei Fiumi del Bernini, «la mostra consentirà di ammirare l’opera dello spagnolo e quella dell’italiano in un gioco di rimandi».
Il rapporto dello scultore basco con l’Italia è stato d’altronde sempre serrato, a partire soprattutto dalla Biennale di Venezia del 1958, quando si aggiudicò il premio come miglior scultore. In mostra a Roma ora si possono rivedere per la prima volta riunite le quattro sculture presentate in laguna nel 1958, tra cui «Gesto», prestata dalla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. Accanto a queste, disegni realizzati tra il 1948 e il 1997, oltre a un gruppo di 17 «Gravitazioni» (carte stratificate) degli anni Ottanta, illustrano l’importanza della linea costruttiva nelle immagini concepite da Chillida, che fu anche gran disegnatore.
Nella nascita del segno, l’artista iberico ha sempre indicato come musa la natura, soprattutto quella degli alberi, ravvisabili nelle ramificazioni curvilinee, in ritmi protesi nello spazio. Lui stesso si sentiva un albero: «Sono come un albero, con le radici in un solo paese e i rami che si aprono sul mondo». E quando allestiva le sue mostre, desiderava che le persone vi «camminassero tra di esse come in una foresta». Nel museo che progettò in Spagna, il Chillida Leku a Hernani, le sue monumentali sculture in acciaio o granito sono poste in perfetto dialogo con i faggi e le querce del giardino. Divenne peraltro artista per caso, o, come disse per «necessità». Era portiere della squadra di calcio Real Sociedad, ma a 26 anni, nel 1950, dovette abbandonare il mestiere tra i pali, per un infortunio al ginocchio: «Non sarà forse l’arte la conseguenza di una necessità?», si domanderà a carriera avviata. Fatto sta che, in mostra, si possono vedere anche i primi disegni figurativi dell’artista, nei quali il soggetto sono proprio le mani, ovvero quella parte del corpo che univa il suo passato di portiere con suo presente-futuro di scultore e disegnatore.