Nel 1942 Dorothea Tanning dipinse l’autoritratto che l’avrebbe catapultata nel movimento surrealista. «Birthday» la ritrae in un abito stravagante, con una creatura alata ai piedi, guardiano di una prospettiva infinita di porte aperte. Fu il surrealista Max Ernst, in cerca di artiste per partecipare a una mostra alla galleria di Peggy Guggenheim, che a quel tempo era sua moglie, ad attribuire quel titolo al dipinto mentre si trovava nello studio della pittrice. Nel giro di poche settimane, Ernst si trasferì da Dorothea e i due si sposarono quattro anni dopo (in seguito Peggy Gugghenim scherzando disse che avrebbe dovuto limitare la mostra, intitolata «31 donne» a «30 artisti»).
«Birthday», oggi nella collezione del Philadelphia Museum of Art, è la prima opera nella quale si imbattono i visitatori della prima rassegna museale della Tanning, che il Museo Reina Sofía di Madrid ospita dal 3 ottobre al 7 gennaio, prima del suo trasferimento alla Tate Modern di Londra (dal 27 febbraio al 9 giugno 2019). La guest curator Alyce Mahon, studiosa di Surrealismo all’Università di Cambridge, spiega che il museo spagnolo, che non possiede nessuna opera dell’artista, si è impegnato a rappresentare donne artiste attraverso un programma espositivo. «“Artiste donne”. Non esiste niente del genere. È una contraddizione in termini tanto quanto “artista uomo” o “artista elefante”», dichiarava piccata la Tanning in un’intervista del 1990 (all’epoca era l’unica surrealista ancora in vita; è morta nel 2012 all’età di 101 anni).
L’artista disprezzava anche le distinzioni tra i diversi media, essendo lei passata dai meticolosi quadri dei primi tempi come «Birthday» e «Eine Kleine Nachtmusik» (1943), e ai quali è ancora in gran parte associata, a scenografie e disegni di costumi per balletti, sculture di tessuto morbido, prosa e poesia. La mostra riunisce più di 150 opere che coprono sessant’anni di carriera, dalle illustrazioni commerciali di fine anni Trenta ai nudi in carne della fine degli anni Ottanta, consentendo di scoprire un’artista troppo spesso messa in ombra dalla fama del marito. All’apice della seconda ondata di femminismo, il movimento surrealista fu accusato di misoginia, ma studiosi e artisti ne stanno ora rivalutando «la progressiva indagine sulla politica di genere» e la «stravaganza», afferma la Mahon, aggiungendo che «l’arte della Tanning scalza la vecchia idea che il Surrealismo si limitasse a considerare la donna un oggetto».
Lungo tutta la sua carriera e le variazioni stilistiche, l’artista «torna ossessivamente alla figura femminile liberata e crea sbalorditivi spazi domestici». Il titolo della mostra, «Dorothea Tanning: dietro la porta, un’altra porta invisibile», mette in luce il motivo ricorrente della porta «non come barriera, ma come metafora dell’apertura mentale», la raison d’être surrealista. La rappresentazione della femminilità della Tanning (ragazzine sognanti, madri mostruose e nudi senza testa) culmina in un’installazione immersiva, «Chambre 202, Hôtel du Pavot» (1970-73), in prestito dal Centre Pompidou di Parigi. Cucite e imbottite per la sua retrospettiva parigina del 1974, le figure di stoffa, afferma la curatrice, irrompono attraverso le pareti «osando entrare in spazi nuovi». Lo stesso si potrebbe dire della Tanning, che lasciò la sua cittadina nell’Illinois per New York, il deserto dell’Arizona, Parigi e la Provenza.
«Penso che i visitatori saranno sorpresi soprattutto da quanto è liberatorio il suo lavoro e dalla storia di una vita che si porta con sé uscendo dalla mostra. L’energia e l’immaginazione dell’artista non conobbero limiti fino agli ultimi anni. Non finì mai a prender polvere», conclude Alyce Mahon.