Si entra in Bkv Fine Arts e si è accolti da una seduttiva Salomè che, grosse perle alle orecchie, petto esaltato da un corsetto, vesti di seta, ci offre su un lustro piatto d’argento il suo trofeo: la testa livida del Battista. Una sontuosa «vivandiera», protagonista di un grande dipinto attribuito da Gianni Papi al caravaggesco Juan Bautista Maíno, davanti alla quale i tre galleristi (Paolo Bonacina, Edoardo Koelliker, Massimo Vecchia, seri studiosi ma anche persone scanzonate) hanno apparecchiato un banchetto di teste mozze scolpite: spiazzante certo, ma affascinante e, più ancora, propedeutico a ciò in cui ci s’imbatterà attraversando questa mostra intitolata, appunto, «Perdere la testa» (dal 25 ottobre al 20 dicembre).
Nel salone a fianco c’è, infatti, una fittissima quadreria all’antica di teste mozze posate su piatti, vassoi, alzate (le stesse delle prime nature morte lombarde, di Fede Galizia e Panfilo Nuvolone): sulla parete di sinistra, i dipinti del ’500, sul modello della famosa «Testa di Giovanni Battista» oggi al Louvre, dipinta da Andrea Solario per Luigi XII di Francia; di fronte, il ’600, di segno caravaggesco, con dipinti che guardano all’«Erodiade» di Francesco Cairo. Ma, nel segno della filosofia di Bkv, che ama mettere in evidenza la continuità dell’arte, ecco, di fianco, due brutali acquarelli di Giovanni Testori eseguiti quando scriveva la sua «Erodiade»; un omaggio di Guttuso a Cairo e Géricault, dedicato allo stesso Testori e, al centro, accanto a una scultura antica con la testa del Battista, una gran testa spiccata di gorilla («Gorilbattista») di Bertozzi&Casoni. «Delle opere della “quadreria”, ci spiega Paolo Bonacina, l’attribuzione non ci interessava più tanto: ciò che contava per noi, e che volevamo evidenziare, era la vera “ossessione” del soggetto. Tutte furono scelte da Testori per un importante collezionista milanese, per entrare poi in collezione Koelliker, da cui ora ci giungono».
Se al piano terreno di questa mostra sottilmente «concettuale» la protagonista è una carnefice crudele e maligna come Salomè, al primo piano entrano in scena degli «assassini per una buona causa»: come Giuditta, che decapita il generale babilonese Oloferne, o Davide, che uccide il feroce gigante filisteo Golia e poi ne mostra la testa mozzata.
Con uno dei guizzi così frequenti in Bkv, al piano superiore è Vik Muniz ad aprire i giochi, con «Medusa, after Caravaggio (Picture of Junk)», 2009, del ciclo di lavori realizzati in una discarica (posto qui accanto a un gesso neoclassico di Perseo, colui che decapitò la Medusa). Mentre, nella sala successiva, si affacciano, languide e seduttive, le Giuditte di Giuseppe Vermiglio, di Paolo Guidotti, di Bernardino Licinio, di Claude Vignon, di Arturo Martini (una terracotta dei primi anni ’30) e di altri autori, mentre nella sala finale va in scena il giovane Davide nei dipinti di Domenico Cerrini (uno, simile, è alla Galleria Spada di Roma), di Giacomo Farelli, allievo di Andrea Vaccaro, e in quelli di altre mani, posti in dialogo con «Number 3 (Self-Portrait of Caravaggio as Goliath, Michelangelo Merisi)», opera del 2020 in cui Julian Schnabel, rendendo omaggio al «Davide con la testa di Golia» di Caravaggio (Galleria Borghese), si avvale nuovamente della sua tecnica «storica» dei «plate paintings», in cui la tela è ricoperta da decine di frammenti di piatti rotti. Importante (e singolare) anche il catalogo.