«Louise Bourgeois in Florence» dal 22 giugno al 20 ottobre nel Museo Novecento e nel Museo degli Innocenti, è un progetto (finanziato per più della metà grazie al fundraising, come altri che l’hanno preceduto,) da anni nella mente di Sergio Risaliti, dopo l’incontro al Castello di Ama, nel Chianti, con Philip Larratt-Smith, curatore dell’archivio letterario della scultrice e studioso dei legami tra la sua opera e la psicanalisi. Cocurata da Larratt-Smith e Risaliti in collaborazione con The Easton Foundation, «Do Not Abandon Me» nel Museo Novecento rimanda al complesso rapporto che Bourgeois (Parigi, 1911-New York, 2010), intrattenne con la madre e che ne condizionò l’esistenza. «Il titolo rimanda anche al timore della solitudine acuitosi nel tempo, quando pure era all’apice di un riconoscimento mondiale, commenta Risaliti, e molto significative del rapporto con l’inconscio sono le gouache (con iconografie di sessualità, procreazione, nascita, maternità, alimentazione, dipendenza, coppia, unità familiare e fiori) realizzate negli ultimi cinque anni della sua carriera, a “bagnato su bagnato”, quindi affidandosi all’imprevisto, alla casualità del medium scelto».
Nel centinaio di opere (anche numerosi disegni) vi sono installazioni e sculture di varie dimensioni, in stoffa, bronzo, marmo e altri materiali, ma anche la serie delle 16 stampe digitali del 2009-10, nate dall’incontro con l’artista britannica Tracey Enim, di altra generazione, ma affine nei temi pur nella diversità di linguaggio. Risaliti confessa che il suo sogno sarebbe stato installare un grande ragno in piazza della Signoria, ma nel cortile del museo c’è il bronzo di «Spider Couple» (2003). Il ragno, simbolo della figura materna che protegge (anche l’artista si sentiva tale rispetto alle sue sculture, emanazioni di sé), ma al tempo stesso presenza inquietante, traumatica, ritorna in un’altra scultura composta da un ragno in bronzo e da un uovo in marmo, mai esposta finora.
Duplice anche il significato delle «Cells», cellule/celle, che «rappresentano vari tipi di dolore: il dolore fisico, quello emotivo e psicologico, quello mentale e intellettuale, come affermava la stessa Bourgeois. Le celle ci attraggono o ci respingono. C’è questa urgenza di integrare, fondere o disintegrare». Al loro interno sono elementi che rimandano a ricordi d’infanzia, dalla caccia esercitata dai familiari (pelli di coniglio) al ventre vuoto (i sacchi di stoffa). E assume un particolare senso che la mostra sia allestita nel Convento delle ex Leopoldine, un complesso dalla forte vocazione sociale, gestito per secoli da comunità interamente femminili: «Abbiamo sempre cercato, quando possibile, di evocare eventi del passato che risuonino nel presente», spiega Risaliti.
Al Museo degli Innocenti, consolidando la collaborazione avviata negli anni anche con altre istituzioni fiorentine, c’è «Cell XVIII (Portrait)». Il soggetto lì racchiuso, pur appartenendo allo stesso ciclo di «Peaux de lapins», è qui proposto come interpretazione della «Madonna della Misericordia», iconografia ricorrente nelle opere della collezione e che rimanda alla vocazione del luogo, nato nel 1419 come ospedale con lo scopo di accogliere l’infanzia priva di cure familiari. «Questa parte del progetto non ha il titolo della mostra al Museo Novecento, perché, in un momento di movimenti pro vita, c’era il rischio di cadere in errate interpretazioni», spiega Stefania Rispoli, curatrice di quella parte di progetto insieme a Larratt-Smith e ad Arabella Natalini, direttrice del museo. Le mostre fiorentine si svolgono in contemporanea a quelle dedicate alla Bourgeois nella Galleria Borghese di Roma e a Villa Medici, e a Napoli presso lo Studio Trisorio.