Dal 10 aprile al 16 giugno lo stile unico e provocatorio di Georg Baselitz (Kamenz, 1938) torna per la prima volta in otto anni alla White Cube Bermondsey in un’esplorazione multiforme della sua carriera pluridecennale. Con «A Confession of My Sins», il pittore e scultore tedesco reinterpreta momenti chiave della sua infanzia nella Germania del dopoguerra attraverso il filtro delle ispirazioni artistiche e delle relazioni emotive che hanno delineato la sua poetica negli anni a venire.
Alla sua ottava personale con White Cube, presenta una nuova serie di quadri che, seppur in dialogo diretto con il suo passato, ne rispecchiano la realtà attuale: «In un certo qual senso, quel che i pittori fanno nel dipingere è rappresentare la situazione in cui questi si trovano», afferma Baselitz nel catalogo della mostra, aggiungendo che a realizzare i suoi lavori pregressi «fu un altro pittore», o meglio lui stesso ma «in uno spirito e con un’intenzione del tutto differenti». Mathieu Paris, Senior Director della White Cube, racconta a «Il Giornale dell’Arte» della concettualizzazione della vetrina, ponte tra l’artista di ieri e quello di domani.
Che cosa dobbiamo aspettarci da questa mostra?
Ogni presentazione di Baselitz è un prosieguo del percorso che l’artista, oggi 85enne, porta avanti da sessant’anni. Ciò che ritengo straordinario di questa mostra è la maniera in cui consente di confrontarsi non solo con le opere che questo ha sviluppato negli ultimi nove mesi, ma anche e soprattutto con l’ampia e magistrale produzione artistica della sua carriera, la quale tutt’oggi continua a ridefinire i parametri della storia dell’arte. Se c’è un aspetto che mi affascina di «A Confession of My Sins», è come questa diventi una conversazione tra il Baselitz contemporaneo e le sue «versioni» passate. I visitatori si relazionano con il cuore della sua pratica, immergendosi nella continuità, l’innovazione e la genialità creativa di un artista senza precedenti. Tra le maggiori fonti d’ispirazione per questa serie di quadri ci sono Munch, Picasso e De Kooning, ma anche il «giovane» Baselitz: qui ricompaiono infatti le sue aquile, i suoi cani e cervi, soggetti da lui dipinti per la prima volta da adolescente, e la relazione con sua moglie Elke Kretzschmar, ben più che una musa. Pur essendo una mostra su larga scala, a renderla unica è il livello di introspezione e intimità.
Il titolo «A Confession of My Sins» fa pensare a una sorta di resa dei conti, come se con questa mostra Baselitz volesse «chiudere un cerchio»...
C’è molto umorismo in quel titolo. Lo trovo bellissimo, soprattutto per il modo in cui ci porta a riflettere su Baselitz sì in quanto artista, ma anche come persona. Nel lavorare a questa nuova serie di dipinti, Baselitz si è rifatto a strumenti che rispecchiano la sua condizione ed età, tra cui un deambulatore. Penso alla sua retrospettiva alla Serpentine Galleries, «Georg Baselitz: Sculptures 2011-2015» (2023), e alla sua agilità nello scolpire il legno con la motosega. Quella energia vive nelle sue opere più recenti, in cui il deambulatore di oggi si sostituisce alla motosega di ieri. Pur non essendo facile, preserva la brutalità e potenza tipiche del suo estro, come se le difficoltà dell’invecchiamento non fossero ostacoli ma incentivi capaci di motivarlo a spingersi ancora oltre.
Quali tematiche emergono da questa mostra?
La relazione che abbiamo con il nostro corpo e quella tra il corpo e lo spazio che ci circonda è forse il tema principale di questa personale. Baselitz è sempre stato interessato al concetto di «spazio», sia nella sua concezione architettonica sia all’interno delle sue stesse tele. Lo si nota nella maniera in cui i soggetti dei suoi quadri fluttuano nell’aria che li avvolge, cosa che accade perché la loro posizione nei confronti della composizione e dello spazio espositivo è calcolata nei minimi dettagli. In questo allestimento i dipinti sembrano conversare tra loro, coinvolgendo i visitatori in un viaggio alla scoperta dei ricordi dell’artista.
Che cosa spera di suscitare nel pubblico?
L’arte di Baselitz si sforza di provocare un dialogo in grado di proiettarci in avanti e rompere con la tradizione. Così facendo, questa stravolge completa-mente la nostra percezione non solo della pittura, ma anche di quello in cui crediamo: è proprio in questo confronto che sta la sua influenza. In «A Confession of My Sins», dipinge la vita in tutte le sue forme, raccontandone luci, ombre e la vivacità. Da gallerista, osservare il dispiegarsi della sua creatività è stata un’esperienza più che rara. Risorto dalle ceneri, Baselitz non guarda mai indietro, ma sempre al futuro, ricordandoci della forza che risiede nel creare.