Dal 2 ottobre al 30 novembre la Fondazione Ica presenta «Gumbo», la prima personale in un’istituzione italiana di Tomoo Gokita (Tokyo, 1969). La mostra raccoglie 16 dipinti, 4 sculture e un corpus di disegni, tutti realizzati appositamente per l’occasione, che danno conto della poetica di una delle voci più influenti della scena contemporanea giapponese. «È un lavoro dalla forte valenza identitaria, spiega il curatore Alberto Salvadori. Navigando tra stili diversi e combinandoli insieme in una sorta di neocubismo dalle molteplici sfaccettature, Gokita si fa portatore di una visione distopica e lontana dall’immaginario del figurativo più comune in questi ultimi anni».
Noto in special modo per la sua pittura monocromatica e in scala di grigi, sviluppata durante la carriera di grafico tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, con immagini provenienti da pornografia, fumetti, riviste di wrestling o gossip, l’artista ha maturato nel tempo un vocabolario visuale composito, alimentato da una vasta gamma di influenze: Surrealismo, Cubismo, Simbolismo, Costruttivismo, cultura pop, ma anche design e fotografia commerciale. Ballerine, starlette, lottatori, sottoposti a un processo di manipolazione e distorsione, diventano protagonisti di composizioni astratte che nascono in maniera istintuale, mettendo insieme pensieri e sentimenti di tutti i giorni, con l’esito di un’inedita mescolanza di ingredienti differenti. Illustrazioni con soggetti bizzarri e stravaganti dai volti indefiniti, spaventapasseri a simboleggiare la progressiva cancellazione delle forme umane, sculture realizzate con materiali semplici come legno, cartone, carta pesta e acrilico, mettono al centro della scena la banalità del quotidiano. A quella odierna, all’epoca della instant-fiction in cui pare che per legittimarsi persino il diritto a esistere debba essere sinonimo di eccezionalità, Gokita oppone ripetitività, consuetudine, normalità. Una sintassi dell’ordinario che assume i contorni dello straordinario grazie a una produzione varia e variegata che, influenzata dall’Informale e dalla generazione dei neoespressionisti newyorkesi, si traduce in una tecnica compositiva spesso decostruita e innovativa. La mostra, organizzata con il supporto della galleria Massimodecarlo, propone un viaggio a zig-zag tra rappresentazione e alterità onirica in cui le opere dell’autore, polisemiche e aperte all’interpretazione, lasciano allo spettatore la libertà di fare proprie narrazioni talora sfuggenti e imperscrutabili.