Fu alla Galleria comunale d’arte moderna di Bologna, nel 1977, che Marina Abramovic, insieme all’allora compagno Ulay, inscenarono la première di una delle loro performance più celebri: «Imponderabilia». Una 29enne Marina e un 34enne Ulay si appostarono, completamente nudi, all’ingresso del museo, immobili l’una di fronte all’altro. I visitatori, per oltrepassare lo strettissimo corridoio, si trovarono costretti a procedere di traverso, strofinando il proprio corpo vestito con quello nudo dei performer. Il passaggio suscitava nel pubblico disagio e imbarazzo, ma anche intimità, turbamento, vicinanza. L’azione, che sarebbe dovuta durare sei ore, terminò prima del tempo per l’intervento della polizia.
È questa una delle performance che verrà reinscenata nell’ambiziosa antologica che la Royal Academy dedica, fino al primo gennaio, alla regina indiscussa della Performance art.
Curata da Andrea Tarsia in collaborazione con l’artista, l’esposizione comprende video, oggetti, installazioni e azioni live (eseguite da un gruppo di performer) che tracciano la parabola di una delle artiste più note al grande pubblico: dalla collaborazione con Ulay (1975-88), il cui epilogo è segnato dalla separazione rituale lungo la muraglia cinese («The Lovers, The Great Wall Walk», 1988) alla sua pratica come solista.
Tra gli highlight, l’installazione «Balcan Baroque», con la pila di ossa lavate dall’artista come atto di purificazione durante la Biennale di Venezia del 1997, e la riproposizione di «Nude with Skeleton» (2002), una performance in cui Abramovic giace completamente nuda con uno scheletro umano appoggiato sul suo corpo.
Conclude l’antologica una nuova iterazione di «The House with Ocean View» (2002): nella versione originale l’artista abitò per 12 giorni consecutivi in un «appartamento» costruito nella galleria Sean Kelly di New York, digiunando e bevendo solo acqua ed esponendo sé stessa allo sguardo del pubblico.