Nella complessità della realtà contemporanea, c’è sempre qualcosa che rischia di andare perduto, di passare in secondo piano all’interno dell’oceano di informazioni in cui siamo immersi. Ma che cosa accade a questi «piccoli mondi ignorati dai media»? È sulla scorta di questo interrogativo che si snoda la ricerca della fotografa Monika Bulaj. «Geografie sommerse» è il titolo della mostra che il Magazzino delle Idee dedica fino all’8 ottobre all’artista polacca naturalizzata italiana. L’esposizione, curata dall’artista stessa, presenta più di cento immagini a colori e in bianco e nero, che raccontano i viaggi che Bulaj ha intrapreso per documentare le condizioni di vita, i miti, le fedi e le religioni di minoranze e popoli nomadi, dall’Europa Orientale all’Africa, dal Caucaso al Medio Oriente, fino all’Asia Centrale, Haiti e Cuba.
Davanti agli occhi degli osservatori, si delinea quello che la fotografa ha definito in un’intervista «reportage antropologico», che prende la forma di uno straordinario itinerario visivo alla ricerca del senso del sacro: le minoranze perseguitate in Afghanistan e Pakistan, i cristiani d’Oriente e i maestri sufi dal Maghreb alle Indie, gli ultimi pagani del Hindukush e i nomadi tibetani. «Le geografie che traccio con questa ricerca, racconta Monika Bulaj, sconvolgono le mappe mentali tradizionali sul sacro, basate su elezione, divisione ed esclusione, dando vita a un piccolo atlante visuale delle minoranze a rischio e del “sacro”. Sono luoghi tenuti segreti e spesso indecifrabili dove da secoli si preservano parole trasmesse di bocca in bocca, e con esse il sapere sulle origini, le metafore delle iniziazioni e delle trasformazioni, le ricette per la sopravvivenza».