Micaela Deiana
Leggi i suoi articolidocumenta fifhteen si trova nel mezzo di un accesissimo dibattito interculturale, che tocca temi quali antisemitismo e razzismo, lettura di un’opera in un determinato contesto di fruizione e frizioni con la comunità. Avevamo parlato di una mostra dall’impronta politica e l’agorà che ne è nata, dimostra come un evento artistico possa diventare occasione di vero dibattito civile. Seguiamo i fatti.
Le prime tensioni risalgono alla scorsa primavera, quando nella Rarahaus (una delle venue) ad aprile compaiono alcuni sticker dal contenuto anti-musulmano («Libertà invece dell’Islam! Nessun compromesso con le barbarie! Combatti Islam con risolutezza» e «Solidarietà con Israele»); alla fine di maggio è la volta della Werner-Hilpert-Straße 22 (WH22), dove un gruppo di artisti provenienti dalla Palestina, «The question of funding», stava preparando i propri spazi. Qui i vandali lasciano alcune scritte spray in cui inneggiano a un politico di estrema destra e riportano il numero 187, in riferimento al codice penale della California che definisce il crimine di omicidio. L’azione è legata alle accuse mosse al collettivo palestinese di essere allineato con il BDS - Boycott Divestment and Sanctions, e di avere legami con organizzazioni antisemite.
A pochi giorni dall’apertura lo scontro si sposta nella sede del Friedericianum. Lì, poco distante dall’edificio, è ospitata «People’s Justice» (2002), un’installazione del collettivo indonesiano Taring Padi. Ciò che si contesta è che nell’opera, tra la folla di sagome di cartone, ne è stata inserita una con le fattezze di maiale e la bandiera di Israele al bavero, e una con l’acconciatura portata secondo i dettami dell’ortodossia ebraica. La discussione scoppia sui media tedeschi, serpeggia nei profili social e arriva negli organi di governo, con una serie di interrogazioni parlamentari portate avanti dalla ministra della Cultura Claudia Roth (Verdi).
Qual è stata la reazione dell’istituzione documenta e dei curatori? Si è cercata la via della conciliazione costruttiva. I Ruangrupa hanno ammesso l’errore e in accordo con gli stessi Taring Padi hanno scelto di rimuovere il lavoro, seguendo i principi e i valori che animano la pratica del gruppo: «Lavorare a stretto contatto con i cittadini, nel rispetto delle differenze, di ogni gruppo etnico e religioso».
Nel comunicato stampa rilasciato si scusano per il fastidio, la vergogna, la frustrazione, il senso di tradimento e shock che certi stereotipi, riconducibili a un immaginario antisemita, hanno causato nei visitatori. Allo stesso tempo non negano di avere percepito malafede in alcuni degli attacchi a loro rivolti, e ribadiscono la posizione di apertura e sincera interlocuzione, auto-educazione e formazione collettiva: «Siamo qui come umani con i propri fallimenti, difetti, forze, e coraggio, aggiungono, e staremo qui finché ci sarà possibile per invitare a facilitare un dialogo critico e gioioso con chi ci riconosce come pari».
L’istituzione è al loro fianco. Si assume la responsabilità di quanto accaduto e chiede scusa ai cittadini, ma sottolinea anche come il processo polifonico di riconciliazione aperto dalla manifestazione non sarà facile ed esente da errori. Riconosciuta la rarità di una scala d’azione così ambiziosa, esprimono piena ammirazione per l’iniziativa e per la sua capacità di offrire l’immagine di un mondo fatto di molti mondi, senza gerarchie e universalismi.
La cronaca degli avvenimenti degli ultimi mesi ci racconta un momento molto dedicato della manifestazione. È innegabile che la sequela di eventi abbia imposto una violenta frenata all’attitudine di gioioso dialogo della manifestazione. Eppure, se l’energia positiva è in qualche modo venuta meno, le controversie e gli scontri ci dimostrano ancora di più quanto sia necessario continuare a costruire piattaforme di incontro in cui sedersi, analizzare i punti di vista e provare a muoversi in una direzione comune.
In questo senso quanto accaduto va ad amplificare quindi lo stesso format della manifestazione nella forma e nella sostanza. Per esempio sono in programmazione una serie di incontri digitali e non, tra cui un piccolo convegno organizzato dalla stessa documenta sull’antisemitismo nell’arte, andato in scena la scorsa settimana e ora disponibile sul canale Youtube. Se queste sono le premesse, credo saranno ancora più numerosi, da qui a settembre, gli spunti di riflessione e di studio, fuori e dentro i confini di Kassel.
documenta sarà lumbung, parola di majelis
documenta practice-based e «meno estrattiva possibile»
Hito Steyerl si ritira da documenta 15
documenta 15 ecosistema futuribile
Altri articoli dell'autore
Dal prossimo gennaio la seconda edizione della rassegna dedicata al divino nell’esperienza del mondo materiale: un dialogo tra cultura islamica e linguaggi del contemporaneo. Anche l’italiano Sassolino tra gli autori delle 500 opere di venti Paesi
Si distinguono i Paesi del Sud globale, che davanti alle incertezze geopolitiche e alle tensioni irrisolte della colonizzazione e dello sfruttamento cercano un’identità nella natura e nei luoghi che storicamente hanno ospitato la vita delle comunità. Un ritorno alle radici che spesso guarda al sacro
Il progetto di Massimo Bartolini è un continuum tra interno ed esterno ed è la musica ad accompagnare il visitatore. Gli spazi all’Arsenale, sulle onde di un ipnotico mantra, sono il luogo della temperanza e di un’esperienza spirituale in cui connettersi a sé stessi e, quindi, alla moltitudine
Manal AlDowayan (1973) rappresenta il suo Paese con una mostra firmata da tre curatrici, Jessica Cerasi, Maya El Khalil e Shadin AlBulaihed, realizzata con le voci di settecento donne