Francesca Interlenghi
Leggi i suoi articoli«Walter Albini. Il talento, lo stilista» è la mostra con la quale la Fondazione Museo del Tessuto di Prato celebra, dal 23 marzo al 22 settembre, l’estro inventivo di un assoluto protagonista della moda italiana tra la fine degli anni Sessanta e i primi Ottanta del Novecento. Il progetto espositivo, a cura di Daniela Degl’Innocenti ed Enrica Morini, nasce in seguito a una cospicua donazione che il museo ha ricevuto a più riprese tra il 2014 e il 2016 e mette insieme un ricco fondo di bijou, bozzetti, disegni, fotografie, documenti e libri appartenuti ad Albini (Busto Arsizio, 1941-Milano, 1983).
Merita una rilettura più attenta e generosa la vicenda breve eppure intensa di questo personaggio, antesignano della figura dello stilista: un ideatore-progettista che nel contesto dell’allora nascente prêt-à-porter sapeva declinare la propria creatività in funzione dei marchi con i quali collaborava. La maglieria per Krizia, il jersey per Callaghan, i capispalla per Basile, la camiceria per Diamants, tanto per citarne alcuni. Un approccio che la stampa americana aveva definito «putting together», consacrandolo come «il nuovo astro italiano» dopo il suo debutto milanese nel 1971 al Circolo del Giardino, dove aveva sfilato per cinque etichette diverse.
Il suo raffinatissimo stile era frutto dello stretto legame con i moduli della cultura figurativa degli anni Venti e Trenta. Influenzato dall’estetica di Coco Chanel, dalla quale era rimasto letteralmente folgorato dopo un breve incontro a Parigi, e attratto dalle atmosfere dei romanzi di Fitzgerald e dal cinema hollywoodiano degli anni d’oro, sapeva rileggere quelle fascinazioni in chiave contemporanea, traducendole in silhouette demistificate e moderne.
Visionario e intraprendente, fu spesso in anticipo sullo spirito dei tempi. Come quando per primo cominciò a mostrare insofferenza nei confronti della passerella collettiva della Sala Bianca di Firenze, intuendo che a Milano si sarebbe sviluppato quel binomio moda-industria prodromico al fenomeno del Made in Italy. O quando immaginò una segmentazione della sua produzione, distinguendo tra prima e seconda linea: la W.A. che creava e distribuiva abiti, accessori e articoli per la casa di fascia alta, e la Misterfox economicamente più accessibile. E quando, intorno alla metà degli anni Settanta, fece un’incursione nel campo dell’arredamento, promuovendo il concetto di «total look»: uno stile unitario che ambiva a diventare identitario. Orientamento espresso fin dagli esordi della carriera, con la realizzazione di accessori concepiti sempre come parte integrante di un outfit.
L’esposizione, che si compone di materiali del tutto inediti, è frutto anche delle ricerche condotte su fondi e archivi, sia pubblici sia privati, in particolare il Centro Studi e Archivi della Comunicazione di Parma e l’Archivio storico Camera Nazionale della Moda Italiana conservato presso l’Università Bocconi.
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