Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliSono andato a cercare un vecchio articolo «Il terribile uomo-toro etrusco» pubblicato sul «Corriere della Sera» del 13 luglio 1988. L’aveva scritto Mauro Cristofani raccontando la scoperta di un’antefissa in terracotta avvenuta a Cerveteri nel corso degli scavi nell’area di Vigna Parrocchiale in una zona che, in antico, si trovava nell’area urbana della città-stato più aperta verso il Mediterraneo. L’antefissa raffigura una testa di Acheloo, il dio-fiume legato al ciclo delle fatiche di Eracle, ed è databile intorno al 530-520 a.C. Ecco l’incipit dell’articolo: «Nel cantiere di scavo l’aspettavamo in molti una scoperta importante: gli studenti alla loro prima esperienza di archeologi militanti; i dottorandi di ricerca in etruscologia, tanto preparati tecnicamente quanto sfiduciati, come tutta la loro categoria, sul futuro che li attende; i ricercatori della Soprintendenza e del Consiglio Nazionale delle Ricerche che collaborano all’impresa; io stesso, ormai stanco di inseguire su cataloghi d’aste svizzere e inglesi decine di lastre dipinte e di teste in terracotta per certo “emigrate”».
Ho cercato l’articolo dato che Mauro Cristofani è stato tra i miei maestri e uno di quei dottorandi di ricerca ero io. Dopo averlo letto di nuovo, a distanza di anni, ho pensato che avrei potuto fare un viaggio tra i principali scavi in corso oggi in Etruria per raccontare le scoperte, che si continuano a realizzare, e provare a dare conto dell’atmosfera che vi s’incontra: i nuovi studenti, i nuovi dottorandi, i nuovi responsabili delle ricerche.
Ho scelto di partire da Marzabotto, dai territori controllati dagli Etruschi nella pianura padana prima della discesa dei Celti e dell’arrivo dei Romani. Si tratta, per di più, dello scavo di una città e può riservare soprese a chi ritiene che si conoscano soltanto le necropoli della civiltà etrusca. Sono campagne di scavo portate avanti dall’Università di Bologna dal 1988: le ha dirette a lungo Giuseppe Sassatelli, ereditandone la responsabilità da un suo maestro Guido Achille Mansuelli; le dirige ora Elisabetta Govi.
Vorrei raggiungere poi Vulci, la cui riscoperta fu una delle avventure maggiori dell’archeologia della prima metà dell’Ottocento dovuta al principe archeologo Luciano Bonaparte, uno dei fratelli, il più ribelle, di Napoleone. Attualmente vi sono in corso numerose ricerche.
Proseguire quindi fino a Pontecagnano, giungere tra gli Etruschi del sud: la riscoperta del sito ha avuto inizio nell’aprile del 1962 quando il soprintendente archeologo del tempo, Mario Napoli, incaricò Bruno D’Agostino, allora un funzionario poco più che ventenne, di verificare la notizia del rinvenimento di alcune tombe durante i lavori per la costruzione di una palazzina.
Da lì risalire verso l’Etruria cosiddetta propria e raccontare le campagne di scavo che, dal 2000, sotto la direzione di Simonetta Stopponi, stanno riportando alla luce, il Fanum Voltumnae, il santuario federale degli Etruschi situato ai piedi della rupe di Orvieto. Il «luogo celeste» dove gli Etruschi tentavano di elaborare una politica estera comune non riuscendoci in diverse, decisive occasioni.
Raggiungere quindi Cerveteri, la polis etrusca più aperta verso il Mediterraneo, e visitare il santuario di Pyrgi, il cui scavo prese avvio nel 1957 seguendo un’intuizione di Massimo Pallottino. Le ricerche sono state dirette a lungo da Giovanni Colonna e ora sono portate avanti da Laura M. Michetti.
Arrivare infine a Tarquinia, la cui area urbana è stata la prima a essere indagata in maniera estensiva, a partire dal 1982, per volontà di Maria Bonghi Jovino. Le ricerche continuano ora con la direzione di Giovanna Bagnasco Gianni, sempre dell’Università degli Studi di Milano.
L’itinerario è tutt’altro che lineare, ma segue il calendario dell’inizio delle campagne di scavo.
In chiusura, una curiosità: l’antefissa conformata a testa di Acheloo è esposta ora nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma: la trovammo insieme, in un pomeriggio d’estate, Alessandra Coen, che oggi insegna Etruscologia e Antichità Italiche all’Università degli Studi di Urbino, ed io.
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