«È a Roma che Vettor Pisani sente il mito e la storia non come entità incerte, parziali o inessenziali ma come urgenza e presenza. È qui che si fa demiurgo del proprio universo solare e notturno, maschile e femminile, profano e sacrale». Quanto riportato è un passo significativo dal denso testo con cui, nel catalogo di prossima pubblicazione, Italo Tomassoni accompagna la mostra «Viaggio ai confini della mente», da lui curata e allestita fino al 22 settembre al Centro italiano arte contemporanea - Ciac di Foligno. L’oggetto è Vettor Pisani, nato a Bari nel 1934, morto nella capitale nel 2011.
La rassegna propone oltre 50 pezzi dagli anni ’70 in poi, documenti, rare foto di performance, un polittico ricomposto nel 2012 come una piramide rovesciata da Mimma Pisani, moglie e performer dell’artista; l’accento cade anche sui romanzi. «La sua scrittura, purtroppo meno considerata dalla critica, è importantissima» dichiara a «Il Giornale dell’Arte» Tomassoni, che fu amico di Pisani e lo ospitò più volte a Foligno. «Vettor mi donava i libri che pubblicava con gli stampatori disposti a ospitarlo. Aveva una visione unitaria dell’arte, sognava di creare un “corpus magnum” dove la scrittura era un elemento di congiunzione tra immagine e narrazione». Scrivendo, riflette lo studioso, «rispettava la sintassi e la grammatica, non la narrazione, e si verifica un paradosso straordinario: le sue opere si narrano e chiedono aiuto a una spiegazione verbale e la scrittura si espone come se diventasse un’opera d’arte».
In più, dacché in Pisani forme scritte e visuali si intrecciano, dacché affronta temi come il culto di Mnemosine, Tomassoni ha fatto appello al Warburg Institute di Londra affinché realizzi un archivio scientifico e una bio-bibliografia sull’artista.
Nel testo «Viaggio ai confini della mente» tra i numerosissimi riferimenti di Pisani, Tomassoni suggerisce Schopenhauer, Nietzsche, Novalis, pittori come Fernand Khnopff, Arnold Böcklin, Gustave Moreau, la tradizione pagana e cristiana, l’alchimia, la psicanalisi, Freud, Marcel Duchamp, Joseph Beuys e Gino de Dominicis. «Era in dissidenza rispetto alla contemporaneità, non voleva avere a che fare con l’arte concettuale, la Transavanguardia, l’Arte povera e neppure con l’avanguardia franco-italiana», aggiunge Tomassoni a voce. E come ricorda l’amico? «Di estrema dolcezza, Vettor aveva una grande generosità, una cultura enorme fondata su religioni misteriche, sullo gnosticismo, sull’alchimia. Ascoltarlo era musica, ho sei nastri della sua voce che si sentono in sottofondo nella mostra. Era un personaggio complesso, con periodi di grande depressione. D’estate veniva da me per sfuggire al caldo di Roma e ha lasciato una Cappella bellissima. Era un visionario puro». La mostra è promossa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di risparmio di Foligno e realizzata con Maggioli cultura e turismo.