Enrico Tantucci
Leggi i suoi articoliCome salvare il tessuto sociale di Venezia e la sua comunità, prima ancora che il suo patrimonio artistico e architettonico? È la nuova sfida lanciata dai Comitati privati internazionali per la salvaguardia di Venezia, che da circa sessant’anni (dopo la grande acqua alta del 1966) si prendono appunto cura, con un programma di restauri annuali, dei suoi monumenti e delle sue opere d’arte.
Appena presentato a Palazzo Soranzo Cappello, sede dei Comitati, il progetto «I futuri di Venezia», ideato dalla docente e imprenditrice Federica Olivares che immagina per la città un avvenire «diverso», in cui ci sia spazio per i giovani (non più «costretti» a scappare subito dopo la laurea per mancanza di possibilità occupazionali), pensando a Venezia come a una città dell’innovazione legata alla cultura, alla ricerca, alla biotecnologia, a un altro tipo di attività produttive. Creando così un’alternativa alla monocoltura turistica imperante.
«Spostare l’attenzione dalle pietre alle persone» è lo slogan lanciato da Daniel Silver, sociologo dell’Università dei Toronto, coinvolto nel progetto. La presidente dei Comitati Paola Marini ha ricordato anche l’appello di Venezia per una rinnovata cultura del patrimonio umano già lanciato recentemente. Ascoltati 25 stakeholders veneziani (dal premio Nobel per l’acqua e presidente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere Arti Andrea Rinaldo alla rettrice di Ca’ Foscari Tiziana Lippiello, dalle associazioni di giovani all’assessore comunale al Turismo Simone Venturini), interpellati per conoscere quali sono a loro avviso i problemi più urgenti della città. Che sono appunto il sovraffollamento turistico, il crescente costo della vita, la sostenibilità ambientale, la mancanza di alternative occupazionali.
Intorno a questi temi i Comitati hanno messo a lavorare un pool di esperti, tra cui (accanto a Federica Olivares e al banchiere e collezionista australiano Simon Mordant) lo stesso Daniel Silver con Gail Lord, entrambi esponenti della School of Cities, l’istituto di ricerca dell’Università di Toronto che si occupa proprio di pianificare il possibile futuro della città, coadiuvati nell’analisi dei dati da Javier Jiménez, professore dell’Università Politecnica di Madrid. Si punta, nel giro di due anni, a elaborare una serie di progetti-pilota che diano una prima concreta attuazione all’idea di Venezia come città dell’innovazione, condivisa dai suoi abitanti. Progetti che si vuole abbiano anche una ricaduta occupazionale, partendo dall’idea che anche il turismo debba diventare una risorsa condivisa, con ricadute sulla stessa residenzialità, e non un affare solo per alcune categorie economiche.
Secondo gli esperti c’è bisogno di dati e di conoscenze in più sul fenomeno Venezia e sui suoi problemi e in questo senso, hanno sottolineato Silver e Lord, anche la prossima introduzione del ticket di ingresso può essere una sperimentazione utile proprio per capire se e in che modo può modificare la percezione della città da parte dei suoi visitatori. Olivares ha sottolineato in particolare che «Venezia risulta essere una delle città con la percentuale più bassa di studenti universitari che si fermano a lavorare qui dopo la laurea, perché mancano altre possibilità concrete di occupazione al di fuori del turismo e il costo della vita risulta troppo alto». Anche il progetto Venezia Campus (che le università veneziane hanno lanciato con il Comune per raddoppiare in 15 anni il numero degli studenti universitari in città) rischia di risultare vano se non si crea contemporaneamente un nuovo modello economico che possa trattenerli a Venezia dopo la laurea.
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