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S’intitola «Giorgio Vasari. Il Teatro delle Virtù» e si tiene dal 30 ottobre al 2 febbraio 2025 nella Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea e nell’ex chiesa barocca di Sant’Ignazio la mostra che, curata dalla presidente dell’Accademia della Arti del Disegno Cristina Acidini con Alessandra Baroni, costituisce l’evento clou del programma con cui Arezzo celebra i 450 anni dalla morte dell’illustre concittadino. Otto sezioni tematiche accolgono oltre 100 opere, tra cui prestiti provenienti da musei come il Metropolitan di New York e l’Albertina di Vienna. Attesissimo dagli aretini, torna temporaneamente in città anche l’indiscusso simbolo dell’archeologia etrusca toscana: lo straordinario bronzo della Chimera conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze, rinvenuto nel 1535 durante i lavori di scavo presso il baluardo aretino di San Lorentino. Tema della mostra è il linguaggio dell’allegoria sacra e profana, indagato attraverso dipinti, disegni, lettere, manoscritti e volumi a stampa provenienti dall’Archivio Vasari.
Dottoressa Acidini, quali sono gli elementi che caratterizzano la mostra?
La mostra presenta opere d’arte sacra e profana in una sequenza che porta il visitatore all’interno del mondo di Giorgio Vasari, dalla formazione ai successi della maturità, con particolare attenzione alla lunga presenza a Firenze a servizio del duca Cosimo de’ Medici, fautore di grandi imprese: per lui Vasari trasforma Palazzo Vecchio, costruisce gli Uffizi, affresca la cupola del Duomo. Un percorso compiuto con tenacia, intelligenza e dedizione da un giovane di provincia, che riesce a entrare in dialogo con i potenti del suo tempo intessendo rapporti molto stretti prima con i Medici, poi a Roma con i Farnese, Bindo Altoviti e altri, fino al ritorno a Firenze. Il suo successo è dovuto un impegno indefesso, ma anche a una cultura che si accresce nel tempo frequentando le cerchie dei poeti, letterati, antiquari che circondavano i potenti. Questo è il lato di Vasari che s’intende valorizzare: la cultura acquisita a contatto con gli intellettuali , che gl’ispira la straordinaria idea di scrivere le Vite degli artisti.
In ragione dell’imprescindibile legame con Cosimo de’ Medici, possiamo parlare di «arte di Stato» per Vasari?
Direi di sì, ci sono tutti gli elementi. Perché Vasari non solo si mette personalmente al servizio, senza usare l’inflazionata parola «propaganda», del duca Medici comunicandone i messaggi politici, ma forgia anche un metodo di lavoro funzionale alla corte, ad esempio con la fondazione dell’Accademia del Disegno. Si crea così una compagine di artisti che, pur mantenendo la propria individualità, sanno affrontare grandi imprese collettive. Vasari, come e più dei suoi contemporanei, nelle iniziative concernenti le arti si avvale di raffinati linguaggi allegorici. Per Vasari «comunicatore» è un caso importante la vicenda della Chimera scoperta ad Arezzo, il bronzo etrusco al quale egli subito attribuisce un forte significato politico: spedito a Firenze, diviene il simbolo dell’eccellenza culturale e artistica della Toscana etrusca, precedente il dominio di Roma e da esso indipendente. Vasari non è l’artista succube del potere che fa di tutto per compiacerlo, ma una sorta di suggeritore, di ideatore di soluzioni, si pensi soltanto agli Uffizi. Gli Uffizi nascono da un gesto apparentemente irriflessivo del duca Cosimo che squarcia un antico quartiere tra Palazzo Vecchio e l’Arno buttando fuori famiglie, artigiani, botteghe e creando «il guasto», una rovina da risolvere. Vasari inventa il lungo piazzale, un cannocchiale visivo chiuso dalla splendida facciata a U che si attacca agli edifici preesistenti senza distruggerli. Un colpo di genio.
Del complesso ruolo di Vasari come «primo ministro della cultura della storia», come lo definì Antonio Paolucci, quanto emerge nella mostra?
La mostra è strutturata per focus tematici. Presentiamo all’inizio il ritratto o autoritratto di Vasari, insieme con i libri su cui si è formato. Poi esponiamo opere di disegno e pittura, tra cui alcune grandi pale concesse in prestito eccezionalmente, che esemplificano la voga di esprimersi per allegorie intensamente praticata non solo da lui, ma anche da suoi contemporanei come Allori, Bronzino, Zuccari. Si afferma qui la componente letteraria, di Vasari non solo autore delle Vite, ma anche attento lettore di libri altrui, a partire da Leon Battista Alberti: quando Alberti suggerisce al pittore di informarsi sulla mitologia antica per narrare belle storie, è un invito a formarsi una cultura umanistica che molti hanno raccolto, e Vasari al massimo grado. Anche nei soggetti sacri mette in figura iconografie complesse, come l’«Immmacolata Concezione» nella Chiesa dei Santi Apostoli di Firenze dipinta per Altoviti (che riflette un dibattito molto vivo al tempo su questa questione dottrinaria, non ancora un dogma), e «La Crocefissione» secondo sant’Anselmo in Santa Maria Novella. Nell’arte sacra lo affiancano colti prelati, e soprattutto l’iconografo don Vincenzio Borghini, con cui Vasari crea una stabile alleanza; ma infine sono sue le soluzioni figurative. Vasari pensa, ragiona, innova, e secondo me la sua straordinaria potenza inventiva viene fuori molto bene dalla mostra. Così come emerge una grande sintonia con i nostri tempi, contrassegnati da un’arte originale e concettuale, solo secondariamente basata sulle tecniche. Il suo essere pittore intellettuale ha dato fastidio in passato a chi l’ha accusato di montare macchine trionfalistiche, a volte oscure per eccesso di retorica. Ma credo che i tempi siano maturi per rivalutare questo aspetto e ammirare certe soluzioni sorprendenti: come l’immissione di personaggi allegorici inesistenti nelle storie, in una specie di metaverso ante litteram reso visibile dalla pittura.
Quali sono i prestiti più significativi?
La Galleria degli Uffizi e il Louvre hanno concesso molti bellissimi disegni. Dagli Uffizi arrivano inoltre opere di grande importanza come il ritratto del duca Alessandro, una delle prime opere vasariane per i Medici. Presentiamo anche quattro ottagoni con figure allegoriche provenienti da un soffitto disperso, di proprietà della Fondazione Cr Firenze, oltre a bellissime opere del collaboratore fiammingo di Vasari, Giovanni Stradano (Jan van der Straat), che interpreta benissimo lo spirito dell’allegoria meticolosamente narrativa, in piena consonanza con la formazione Oltralpe. Essendo le case di Vasari per definizione impossibili da esporre, alludiamo alle due residenze attraverso i disegni. Memorabile la casa di Arezzo, dominata da una straordinaria allegoria: la «Virtù che afferra la Fortuna e abbatte l’Invidia», in una specie di danza surreale intessuta di sopraffazioni reciproche. Nella casa di Firenze poi Vasari affronta la genealogia dell’arte, dal primo segno tracciato dall’uomo sul muro a Vasari stesso attraverso i grandi maestri. Ci si sofferma anche sulla formidabile invenzione vasariana del «logo» dell’Accademia del Disegno, con le tre corone intrecciate di origine michelangiolesca: semplice e immediatamente identificabile, arrivato fino a noi senza modifiche, come si vede in un bellissimo disegno di Pietro Annigoni che reinterpreta le ghirlande in senso naturalistico. C’è anche il «chiusino», ovvero il marmo che chiude il sepolcreto nella Cappella di San Luca o dei pittori alla Santissima Annunziata: scolpito dal frate servita Montorsoli, contiene i simboli della morte ma anche della rinascita attraverso la perennità dell’arte.