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Davide Landoni
Leggi i suoi articoliUn bambino non è puro perché innocente, ma perché è un foglio perlopiù ancora bianco, con poche parole e molto spazio per scriverne di nuove. Agli occhi di un adulto assomiglia all'infanzia perduta, e a qualcosa di più: agli anni in cui era niente e dunque poteva ancora essere tutto. E se l'infinito della giovinezza è irrecuperabile, forse il suo ritornarci con il pensiero è sufficiente per aprire nuove visioni sul futuro. Questa, in nuce, l'essenza di «More Than Kids», la prima personale che la Fondazione Ferrero di Alba dedica all'artista originario proprio della stessa città piemontese.
A cura di Nicolas Ballario e Arturo Galansino, la mostra raccoglie disegni, sculture, affreschi e video-animazioni, e rientra in progetto a due che coinvolgerà, dal prossimo luglio, anche Palazzo Reale di Milano. Qui andrà in scena una mostra connessa a quella albese, con cui instaura un dialogo paritario e di scambio reciproco. Un'unica grande mostra che segna un'ulteriore consacrazione per l'autore, già esposto in tutto il mondo autore, proprio ad Alba, in piazza Ferrero, di uno dei più grandi monumenti laici in Italia.
Se tale scala ciclopica riempirà le sale del museo Milanese, dove in cortile sarà posizionata una scultura esplorabile alta addirittura otto metri, ritraente il mezzo busto di una bambina, l'esposizione albese opera su dimensioni più contenute, ma non certo piccole, evocando una sensazione di intimità rafforzata dall'azzurro tenue con cui sono colorate le pareti. «Un azzurro Berruti», lo definisce lui stesso, sottolineando però come non celi alcun significato oltre una preferenza estetica personale. Eppure, non è difficile rintracciarci qualcosa di infantile, che avvolge i bambini creati dall'artista come una coperta.
A proposito di bambini e fogli, di cui si diceva in apertura: quando sono su carta o su animazione, i personaggi di Berruti sono non a caso bianchi, accesi appena da piccoli accessori colorati, come sciarpe ed elastici, cappelli o peluche. è il caso di «Endless love», che attraverso una serie di disegni su carta di riso raffigura un simbolico e infinito abbraccio tra fratelli. Oltre alla qualità grafica, per cui l'autore si è ispirato in parte a Schiele, è evidente il tentativo di invitare lo spettatore a colmare quei «vuoti bianchi" con la loro forma. Del resto, come suggerisce la mostra, sono «More Than Kids», più che bambini.

Valerio Berruti, «More Than Kids», Fondazione Ferrero di Alba. Foto di Andrea Guermani

Valerio Berruti, «More Than Kids», Fondazione Ferrero di Alba. Foto di Andrea Guermani
«I soggetti di Berruti non sono mai finiti - racconta Ballario - Mancano linee, contorni, colori, tratti. Questo perché contro ogni verità assoluta Berruti permette al visitatore di completare l’opera attraverso il proprio vissuto, nella consapevolezza che l’arte non può avere un significato univoco, che non può dare risposte ma anzi deve porre domande e in qualche modo scippare alla banalità della comunicazione di massa il primato del racconto del mondo». Non solo l'evocazione di un passato o di un nostalgico sentire intimo, ma nelle pieghe dell'opera di Berruti leggiamo quindi anche un'apertura alla contemporaneità e alle sue prospettive future.
L'idea è che la potenza generativa del bambino inneschi un cambiamento nell'adulto, riapra discorsi che credeva terminati e accenda questioni che si illudeva non appartenergli. «Nel nome del padre» (installazione composta da cinque opere in cemento, vetroresina e terra) ritrae un gruppo di bambine idealmente raccolte in preghiera. Ognuna di loro tiene le mani in una diversa posizione, a sottolineare l'eterogeneità delle confessioni, esistenti o inventate, collettive o personali, che ogni individuo può seguire senza che che venga meno il senso di unità che lega l'umanità. Dalla scultura ai bassorilievi, in questo caso in cemento e resina, l’opera «Nel silenzio» ha per protagoniste tre bambine che dormono sulla terra arsa dal sole. Il mondo sta cambiando, la temperatura si sta alzando, il clima grida la nostra attenzione senza riuscire a farsi sentire.
Tema che ritorna in «Don't let me be wrong», lavoro preparatorio alla grande installazione milanese a cui abbiamo fatto cenno, all'interno della quale saranno proiettati i disegni esposti ad Alba. L'invito dell'artista, in fondo, sembra chiamarci all'ascolto, all'attenzione, all'empatia. Come suggerisce «Vocazione», dove un bambino ritratto su grandi tele di juta grezze di volta in volta si gira in diversi punti, come richiamato da una voce, una sensazione, un presentimento. Infine, in un ultimo testacoda semantico, Berruti ci propone un'opera che parte da vicino per finire lontano e un'altra che parte da lontano per finire vicino.
La prima è «Langhe», dove il territorio piemontese che l'artista osserva dalla finestra di casa sua si sviluppa in un doppio registro fino ad allontanarsi dal punto di partenza: uno esterno, col il profilo delle montagne che tracciano il perimetro della sala; e l'altro interno, con diciotto opere pittoriche che poste circolarmente dettagliano il paesaggio in modo sintetico ed evocativo, e stimolano l'osservatore chiamato a muoversi per afferrare pienamente il lavoro. La seconda è invece il corto di animazione realizzato con Samuel Romano (cantante e chitarrista dei Subsonica), che racconta in tre atti la storia di un bambino ucraino che si alza, esce di casa e cerca tra le macerie della sua città il peluche che ha perso. Per tre volte la storia si ripete, con un crescendo di dettagli che solo alla fine svelano il reale contenuto dell'opera. Il bambino, privo di dettagli e universale, potrebbe essere chiunque, portando così un dramma lontano estremamente vicino a noi.