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Simone Verde

© Gallerie degli Uffizi, Firenze

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Simone Verde

© Gallerie degli Uffizi, Firenze

Uffizi: Simone Verde affronta l’«overtourism»

Dopo sei anni alla Pilotta di Parma, da nove mesi guida il museo fiorentino, sempre più minacciato dal sovraffollamento (5 milioni di ingressi nel 2023): il nuovo direttore vuole attirare pubblico a Palazzo Pitti e a Boboli, senza sacrificare i 40 milioni di euro di ricavi annui, con novità e progetti, dal Museo della Moda alla nuova Tribuna, al 30% di spazio in più nelle 12 sale dei Nuovi Uffizi

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Anna Somers Cocks

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Per tutto quello che è bello o famoso (o peggio, bello e famoso) oggi c’è davvero troppa richiesta. Andiamo a vedere la grande arte per provare gioia, per imparare, per poter almeno dire di aver visto con i nostri occhi celebrità come la «Venere» di Botticelli. E che cosa succede? Arrivo agli Uffizi e devo sbirciare sopra le teste dei visitatori intorno a me, vengo spintonata e trascinata lungo le gallerie da una folla tale che le statue devono essere circondate da corde di protezione, come quelle agli ingressi dei nightclub. 

Questa è la sfida più visibile che deve affrontare il nuovo direttore delle Gallerie degli Uffizi. Sono passati nove mesi da quando Simone Verde (Roma, 1975) è succeduto a Eike Schmidt come direttore, un incarico che comprende anche Palazzo Pitti (l’immensa residenza dei Medici, poi degli Asburgo-Lorena e dei Savoia re d’Italia) e il rinascimentale Giardino di Boboli. Verde arriva con la reputazione che si è guadagnato alla Pilotta di Parma grazie alla vorticosa capacità che ha dimostrato trasformando l’enorme, frammentato complesso museale e bibliotecario dinastico (dei Farnese) in un insieme intellettualmente coerente, con eleganza raffinata e stimolante. Ma se a Parma la sua sfida era quella di portare più pubblico, a Firenze è innanzitutto quella di rendere sopportabile l’esperienza dei visitatori, pur non potendo limitare il loro numero per motivi economici. Allo stesso tempo, facendo fruttare una formazione accademica in antropologia culturale conseguita in Francia e una profonda conoscenza della museologia storica, Verde ha un’idea chiara e complessiva di ciò che gli Uffizi rappresentano e del ruolo che dovrebbero svolgere sulla scena italiana e mondiale. 

Ai colloqui del concorso ministeriale per la nomina alla direzione, aveva presentato un progetto scientifico che ha messo gli Uffizi in risalto come il massimo museo italiano dal punto di vista museologico. Per lui gli Uffizi sono «il» museo della pittura italiana, ovviamente in dialettica con l’antico che viene dalle collezioni medicee, ma sono anche stati il primo museo moderno, quantomeno dal punto di vista del modello della struttura architettonica, poi copiata in tanti altri musei. Verde ricorda che gli Uffizi hanno vissuto tutte le fasi della morfologia dei musei: la Wunderkammer, lo studiolo, la galleria, il museo cinquecentesco, quello seicentesco, il museo antiquario del Settecento, il museo romantico, il museo nazionale... Fino ad oggi quando, dice ironico, «è il museo del turismo». 

Il nuovo allestimento della collezione archeologica basato sulla documentazione e sulle immagini ottocentesche. © Gallerie degli Uffizi, Firenze

Nel 2023, il numero di visitatori nei tre siti del polo è stato di circa 5 milioni e pur non sapendo esattamente quanti nella sola Galleria degli Uffizi, il museo vanta un aumento totale del 70% sul 2022. Il ricavato dalla biglietteria e di altri servizi al pubblico è stato di 40 milioni di euro, di cui il 20% è ritornato allo Stato. In breve, è un grande business, ma è giusto che il suo successo sia giudicato principalmente con questo parametro? Verde crede di no. Vorrebbe che gli Uffizi sviluppassero un’identità più forte all’interno della struttura nazionale dei musei, dando visibilità internazionale all’intero Paese, come il Louvre in Francia: un’identità che è andata persa a partire dal dopoguerra in conseguenza di una serie di rimaneggiamenti e modifiche. Come fatto negli scorsi anni a Parma, ha già cominciato a ricostituire quegli spazi «menomati» che furono modello per la museologia europea. Per esempio, il 31 luglio è stato inaugurato il Ricetto delle Iscrizioni d’Antichità esattamente come era stato costituito nel 1823.

Il direttore vorrebbe aiutare i visitatori a capire meglio il contesto di artisti celeberrimi come Michelangelo e Leonardo, che il suo predecessore Schmidt aveva concentrato in sale monumentali. Non è stata una cattiva idea, dice Verde, perché sono quelle le icone che la maggior parte del grande pubblico viene a vedere e ciò alleggerisce i percorsi secondari che interessano maggiormente gli appassionati. I visitatori hanno però bisogno di più «contesto»: così, per esempio, Verde ha fatto allestire la sala di Andrea del Sarto con tutto il «raffaellismo» attorno alla sua figura. 

Verde ammira l’allestimento del Museum of Natural History a Londra, dove un percorso a pettine è formato da un corridoio centrale che espone le specie, mentre le «sottospecie» sono negli spazi subordinati. Secondo questo modello, quindi, se in futuro si vorrà compiere una visita più rapida degli Uffizi, si potrà semplicemente andare diritto, ammirando i maggiori capolavori ma (questo il direttore non lo dice esplicitamente) accelerando il percorso verso l’uscita. 

A fine luglio è stato completato il riallestimento delle sale di arte fiamminga, la maggiore raccolta in Italia di capolavori assoluti come il monumentale trittico di Hugo van der Goes, commissionato intorno al 1475 dal commerciante Tommaso Portinari per l’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze. Verde fa notare che la loro ubicazione strategica permette anche di ricordare la figura del direttore Roberto Salvini, che negli anni ’50 fu uno dei primi a superare la scissione che si era sviluppata nella storia dell’arte tra la produzione italiana e quella nordica. 

La Tribuna, però, continuerà a essere non percorribile. Fortunati coloro che in anni passati erano penetrati in questo «sancta sanctorum» degli Uffizi, creato nel 1581-83 per il granduca Francesco de’ Medici per esporre i maggiori tesori della sua collezione. È qui, ad esempio, che si trova la «Venere de’ Medici», la versione più rinomata e antica della perduta Venere di Cnido, un tempo venerata in tutto il mondo ellenistico. «Semplicemente non c’è abbastanza spazio, osserva Verde. La Tribuna è troppo intima, troppo fragile per le folle di oggi; fu creata per essere ammirata dagli amici e dagli ospiti del granduca...». Il direttore sta però facendo costruire dei balconcini smontabili chiusi nelle porte che sporgeranno di un metro e mezzo, in modo che i visitatori possano avere una sensazione dello spazio, mentre l’Università di Roma Tre e il Politecnico di Milano gli stanno progettando un dispositivo che ricrei l’illuminazione a lume di candela, quella raccontata dai viaggiatori del passato.

«Matrimonio mistico di santa Caterina» (1746) di Pierre Subleyras, acquistato al Tefaf Maastricht per gli Uffizi dal direttore Verde, al 50% con finanziamenti statali

Ci sono problemi di gestione dei flussi anche per il Corridoio Vasariano, la galleria di quasi un chilometro sopra il Ponte Vecchio che collega il Palazzo Vecchio e gli Uffizi con Palazzo Pitti, e che ospitava gli autoritratti di celebri artisti. Chiuso per lavori nel 2016, sarà ora accessibile a soli 25 visitatori ogni 15 minuti (muniti di un biglietto extra) perché, per sua natura, elevato com’è sopra il fiume, il Corridoio non possiede le uscite di sicurezza ogni 30 metri imposte dalla normativa vigente. «Quindi il percorso dovrà per forza essere di altissima qualità», sottolinea il direttore, ma non anticipa nulla su come sarà, rivelando solo che il Corridoio sarà aperto entro la fine dell’anno, completamente climatizzato.

Verde ha un piano articolato per migliorare l’esperienza di tutti i visitatori. Così, tra le sue prime proposte, ha aperto gli Uffizi il martedì sera fino alle 22: iniziativa che offre al pubblico un’esperienza del museo quasi deserto. «La nostra principale politica però è di incoraggiare a visitare anche gli altri siti del polo, specialmente il Palazzo Pitti che è sottostimato ma molto bello, anche perché rispetto agli Uffizi è rimasto integro. Per offrire una grande attrazione stiamo lavorando per il Museo del Tesoro dei Medici, una delle Wunderkammer più belle del mondo che però è allestita secondo criteri degli anni ’50... Voglio spettacolarizzare questo patrimonio e al suo centro ci sarà la maschera mortuaria di Lorenzo il Magnifico, con gli abiti funebri dei Medici». 

A luglio hanno finalmente aperto le ultime otto stanze del Museo della Moda e del Costume a Palazzo Pitti, dove accanto ai vestiti degli anni ’60 Verde ha introdotto anche alcuni dipinti, come l’opera «Bianco e nero» (1969) di Alberto Burri. Vi è poi la Galleria Palatina da valorizzare, prosegue il direttore, con le opere di Raffaello, Tiziano, Tintoretto, Caravaggio e Rubens, in ambienti con decori e arredi sontuosi. Entro la fine dell’anno aprirà anche gli Appartamenti Reali, chiusi da due anni.

Ci sarà il 30% in più di spazio quando verranno inaugurate le 12 sale dei Nuovi Uffizi, che costituiscono metà della sezione di Levante. La gran parte del pianterreno accoglierà le mostre temporanee, mentre grazie al sostegno dei Friends of Florence una porzione sarà dedicata a un museo dei bambini «con opere vere, non quelle cose un po’ infantili che non fanno capire ai bambini l’autentica natura del museo», spiega. Da museologo, Verde vuole anche ricordare la varietà e la filosofia degli Uffizi cinquecenteschi e seicenteschi, creando uno spazio con alcuni pezzi rappresentativi delle collezioni scientifiche e di «esotica» che sono state espunte a partire dalla fine del Settecento. È chiaro dunque che, per il momento, Simone Verde vuole concentrarsi sul rendere gli Uffizi un centro di eccellenza museale e nel Giardino di Boboli («Quanto vorrei avere l’esercito di giardinieri che avevano i granduchi...», confida, lamentandosi dei danni causati dalle ormai consuete e violentissime piogge) sta per fondare un Centro Studi che avrà la sua sede nel bellissimo Casino del Cavaliere. Avrà un comitato scientifico ed eleggerà un presidente, ci anticipa. Terrà conferenze, farà ricerca, organizzerà mostre e pubblicherà una rivista online. Verde vuole farne un hub per i museologi internazionali, «non solo per avere un impatto a livello internazionale, ma anche per assimilare qui, in Italia, gli aspetti migliori della ricerca scientifica all’estero».

La sala 14 del Museo della Moda e del Costume, riaperto a luglio, è dedicata agli anni ’60 del ’900: abiti di Federico Forquet e di Valentino sono allestiti accanto a «Bianco e nero» (1969) di Alberto Burri.

Anna Somers Cocks, 13 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

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