«Uno sguardo altro che offre una visione nuova e originale di una realtà artistica finora poco o per niente svelata. Focalizzato, in termini critici ed esaustivi, sui presupposti culturali e figurativi, sulle radici, sulle diverse anime e sui molti temi che hanno concorso prima alla nascita e poi alla deflagrazione di questo movimento che ha caratterizzato in modo così dirompente la ricerca dell’arte occidentale della prima metà del ’900»: così Fabio Benzi, uno dei curatori, insieme a Francesco Leone e Fernando Mazzocca, con il contributo di Federico Bano, direttore artistico di Palazzo Zabarella (che ne è la sede), della mostra «Futurismo 1910-1915. La nascita dell’avanguardia», in programma dal primo ottobre al 26 febbraio.
Un centinaio le opere riunite, alcune inedite o non più esposte da molto tempo di 45 diversi prestatori anche privati, e suddivise in dieci sezioni. L’arco di tempo, volutamente limitato alla fase nascente, permette uno «sguardo altro» che focalizza le radici e le contaminazioni con altri movimenti. Le due sezioni più importanti, intrecciate tra loro, sono quelle dedicate al Simbolismo e al Divisionismo, quest’ultimo molto apprezzato da Boccioni, con Segantini e Previati tra i rappresentanti più significativi. Non mancano naturalmente sezioni dedicate al Neoimpressionismo e al Cubismo.
Sin dall’inizio gli obiettivi sono chiari: l’utopia di un’arte «totale» con la rottura dei concetti tradizionali di spazio di tempo; l’affermazione della tridimensionalità in movimento; lo sfondamento dei limiti posti dalla cornice pittorica e di quella statuaria. A sigillo del nuovo linguaggio le «Parole libere» di Marinetti. A conclusione la guerra «igiene del mondo» quale antidoto a una civiltà morente.
Fabio Benzi, quello preso in considerazione è il momento della fase nascente del Futurismo. Non era mai stato indagato prima?
Al contrario. Solo che in genere ci si limitava ai firmatari del Manifesto del 1910: Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Antonio Sant’Elia, Giacomo Balla e Gino Severini. In realtà vi aderirono anche Gino Rossi (di cui esponiamo un’opera), Arturo Martini e Mario Sironi. Persino Galileo Chini, che riconosceva il carattere moderno di questo movimento. Il cavallo rampante che figura nei suoi affreschi della cupola del Padiglione Italia alla Biennale è ripreso nella «Città che sale» di Boccioni.
Si può parlare di un’arte trasversale?
Soprattutto per quanto riguarda l’arte applicata. In questo campo i futuristi si imposero a livello europeo.
Si è proceduto anche alla ricostruzione di due opere plastica di Balla e Depero.
Sì, perché i materiali usati, come la carta e la carta stagnola in fili colorati, erano molto deperibili e per questo le opere sono andate distrutte.