Nel 1688 un giovane studente di medicina di origine alsaziana, Johannes Hofer, si laureò all’Università di Basilea con una tesi in cui analizzava la peculiare patologia che affliggeva i mercenari svizzeri durante le campagne militari all’estero. Per identificare questo nuovo disturbo clinico fu necessario coniare un termine, che Hofer ricavò dall’unione di due parole di origine greca: «nóstos» (ritorno) e «algos» (dolore o tristezza). E proprio dall’originale volume della tesi di laurea di Hofer, Dissertatio medica de Nostalgia (1688), prende avvio il percorso espositivo della mostra «Nostalgia. Modernità di un sentimento» (Palazzo Ducale, 25 aprile-1 settembre, a cura di Matteo Fochessati in collaborazione con Anna Vyazemtseva), articolandosi poi attraverso una sequenza di 12 sezioni che, considerata la ciclicità cui afferisce il sentimento nostalgico, non si sviluppano attraverso un ordinamento cronologico, ma procedono, lungo una discontinua alternanza di varianti temporali, per suggestioni tematiche.
Con questa mostra si è provato infatti a coniugare, attraverso le suggestioni formali e iconografiche di un percorso artistico che parte dal Rinascimento e approda ai giorni nostri, le diverse espressioni della nostalgia e a ricostruirne la storia, documentando archetipi e protagonisti di una patologia che progressivamente si trasformò in un sentimento ambivalente e contraddittorio, individuale e collettivo, presente nella storia dell’umanità sotto tutte le latitudini geografiche e culturali. La mostra propone così una complessiva lettura della nostalgia attraverso il filtro della storia dell’arte: sia come trasposizione iconografica delle molteplici trasformazioni di una condizione, individuata prima come disturbo medico e poi come attitudine emozionale, sia come rimando ad alcune figure paradigmatiche (autori e personaggi) in campo letterario e mitologico e, infine, come suggestione di assonanze figurative rispetto alla complessità polisemica di tale sentimento.
Dopo la sezione introduttiva, la mostra si apre con alcuni rimandi mitologici al tema della nostalgia e quindi all’Odissea, con l’incisiva personificazione del poema omerico raffigurata da Jean-Auguste-Dominique Ingres, con l’«Autoritratto come Odisseo» di Giorgio de Chirico e con l’«Ulisse e Calipso» di Luca Giordano, ma anche all’Eneide e al mito di Demetra e Persefone. Seguono i ritratti dei più celebri cantori della nostalgia: Dante Alighieri, Ugo Foscolo e Giuseppe Mazzini (la nostalgia degli esuli), Lord Byron (la nostalgia della giovinezza), Giacomo Leopardi (le ricordanze) e, infine, Giovanni Battista Piranesi (la nostalgia dell’epoca classica).
La mostra prosegue con una sezione dedicata alla melanconia, già individuata da Hofer come causa e sintomo della nostalgia, da cui tuttavia, partendo dal confronto con la famosa incisione di Albrecht Dürer, appare differenziarsi per la sua stretta attinenza con la dimensione individuale, laddove la nostalgia appare invece diffusa in ampi settori della popolazione, presentandosi dunque come espressione di un sentimento sociale e collettivo. La sua forma più diffusa risulta quella connessa alla nostalgia di casa, titolo della sezione successiva, in cui si espongono dipinti e sculture riferiti a momenti storici differenti: dalla nostalgia degli ebrei durante la schiavitù in Babilonia, evocata nel dipinto di Giacomo Antonio Caimi (1852-53), a quella degli emigranti in partenza raffigurata da Raffaello Gambogi (1894 ca), sino allo spaesamento dei migranti contemporanei, ritratti da Adrian Paci nella loro permanente condizione di sradicamento.
Sin dall’antichità, tuttavia, l’umanità è stata afflitta anche dalla nostalgia del paradiso, alimentando così la suggestione del ritorno a una remota e originaria età dell’oro. Tale forma nostalgica è esemplificata in mostra da idilliache immagini dell’Eden («Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre» di Jan II Brueghel il Giovane, 1640 ca) condivise dalla religione cristiana e musulmana (la tavola di Benedetto Bembo «Madonna dell’Umiltà e angeli musicanti» del 1450-55 e il tappeto da preghiera egiziano del XVI secolo) e rielaborate quindi nelle bucoliche ed elegiache vedute di artisti come Renato Paresce, Ferruccio Ferrazzi, Felice Carena e Gisberto Ceracchini. Lo sguardo verso un passato ideale ha generato pure un’universale nostalgia del classico: epoca vagheggiata come originaria di tutti i miti e per secoli oggetto, attraverso la seduzione di ruderi e rovine, di un nostalgico gusto per il revival culminato con le esperienze di viaggio del Grand Tour.
L’idealizzazione del passato ha dato inoltre vita, intessendo uno stretto rapporto con la memoria collettiva, alla nostalgia nell’età della propaganda, attraverso la quale i regimi autoritari, nella loro opera di manipolazione delle masse, elaborano nuove e artificiali narrazioni del presente. Una visione, già esplorata dal nazionalismo romantico, che trovò una concreta e individuale realizzazione nella nostalgia dell’antico che, a cavallo tra Otto e Novecento, animò le collezioni e le fantasie architettoniche di personaggi come Frederick Stibbert, Evan Mackenzie e Gian Giacomo Poldi Pezzoli. Un’operazione di transfert che, nella sua estensione spaziale, determina pure la nostalgia dell’altrove, documentata attraverso le diverse forme culturali del gusto per l’esotismo.
Attraversando una composita serie di femminili sguardi della nostalgia la mostra approda infine alle sfuocate e sgranate immagini della nostalgia della felicità, rivolta a momenti di spensieratezza giovanile o a ricordi dell’infanzia, per culminare poi con la nostalgia dell’infinito. In quest’ultima sezione la visione dell’assoluto dei paesaggi romantici convive con l’evocazione del mistero dell’universo, esplorato dalle più recenti pratiche concettuali (Lucio Fontana, Yves Klein ed Ettore Spalletti), riconnettendosi, in un graduale processo di espansione mentale dello spazio, con l’alchemica trasformazione della materia proposta dalla grande installazione di Anish Kapoor collocata, al termine del percorso, nella suggestiva cornice affrescata della Cappella dell’Appartamento del Doge.