Maria Sancho-Arroyo
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Il 5 novembre il popolo americano andrà alle urne per eleggere il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Per ciò che concerne la cultura, ancora una volta assente in campagna elettorale, il partito democratico e quello repubblicano hanno opinioni divergenti: storicamente il primo è sempre stato più generoso di sovvenzioni, il secondo invece spesso si è concentrato sulla riduzione dei finanziamenti pubblici. Tuttavia, in un Paese senza Ministero della Cultura, le ripercussioni sulle arti derivano dalle politiche commerciali. Il dibattito presidenziale del 29 giugno scorso ha indicato che la campagna si concentrerà su economia, immigrazione e guerra, in Ucraina e a Gaza, senza riferimento alcuno alla cultura. Tuttavia, misure politiche commerciali potrebbero influenzare le arti nella prossima amministrazione, soprattutto se a vincere sarà Trump. Il che sembrava probabile prima della rinuncia di Biden, ma oggi non appare più così scontato.
Durante la passata amministrazione Trump, è stato implementato un dazio del 25% sulle importazioni dal Regno Unito e dalla Germania di materiale stampato, come parte di una strategia più ampia in una lunga disputa commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea sui sussidi all’industria aerospaziale. Questa tariffa faceva parte dell’agenda «America First» di Trump per affrontare gli squilibri commerciali e proteggere le industrie americane. Seppur non direttamente mirata al mondo dell’arte, la tariffa doveva essere applicata a litografie su carta o cartone provenienti dal Regno Unito e dalla Germania, nonché a immagini, disegni e fotografie stampati negli ultimi vent’anni, colpendo così una vasta gamma di beni artistici e culturali. Inoltre, sono stati tassati molti prodotti provenienti dalla Cina, indipendentemente dalla loro età o origine, includendo sia l’arte cinese contemporanea sia le porcellane imperiali Ming e tutte quelle opere d’arte che, pur trovandosi in collezioni europee da oltre cento anni, risultavano in origine prodotte in Cina. Inizialmente fissate al 25%, queste tariffe sono state poi ridotte al 7,5% e mantenute dall’amministrazione Biden. Nonostante la riduzione, guerra commerciale e tariffe hanno avuto un impatto significativo su alcuni settori del mercato dell’arte, determinando un calo nella compravendita e nelle esposizioni di arte contemporanea cinese negli Usa e viceversa.
Gli Stati Uniti impongono pochissime restrizioni all’importazione e all’esportazione di opere d’arte, legate più a ragioni commerciali che al significato culturale. Se Trump sarà rieletto, ha già abbozzato l’idea di imporre tariffe del 10% o più su tutti i beni importati negli Stati Uniti, sostenendo che ciò eliminerà i deficit commerciali. Queste tariffe potrebbero includere una tassa fino al 60% su tutti i prodotti provenienti dalla Cina e colpire il mercato d’arte.
In conclusione, nonostante arte e cultura non siano al centro della campagna elettorale, le politiche fiscali e commerciali che il nuovo presidente imporrà, pur non essendo direttamente rivolte al settore culturale, avranno ripercussioni significative su di esso.
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