«Take Me to Heaven» (2024) di Tracey Emin

© Tracey Emin. Diritti riservati, Dacs 2024. Foto © White Cube (Eva Herzog)

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«Take Me to Heaven» (2024) di Tracey Emin

© Tracey Emin. Diritti riservati, Dacs 2024. Foto © White Cube (Eva Herzog)

Tracey Emin senza veli da White Cube Bermondsey

L’intensità del tratto inquieto e ipnotico dell’artista britannica avvolge gli spazi della galleria londinese

Sono composizioni viscerali e sanguinose quelle al centro di «I followed you to the end», mostra personale della «leggendaria» artista britannica Tracey Emin (Croydon, 1963), presso White Cube Bermondsey dal 19 settembre al 10 novembre. In oltre trent’anni di carriera, e sin dal suo esordio con i Young British Artists, Emin ha dato prova di sapere ritrarre i lati più oscuri, emotivi, e sconcertanti dell’esperienza umana scavando nell’inconscio per portarli alla luce in quadri che ne racchiudono l’ambivalente complessità.

Le sue opere, tra recenti lavori su tela, disegni, e un’impressionante scultura in bronzo, dialogano tra loro nell’allestimento londinese. Tra i temi affrontati per l’occasione spicca l’antitesi vita-morte, come in «Take Me to Heaven» (2024), «I Watched You Die» (2024) e «I followed you to the end» (2024), da cui la mostra prende il suo titolo. Oltre all’energia, a tratti perturbante, emanata da questa nuova serie di dipinti su larga scala, ciò che traspare dalla rappresentazione dei corpi contorti, avvinghiati a sé stessi o su altri, è uno spasmodico attaccamento alla vita.

Reduce dalla battaglia contro una grave malattia e recentemente nominata «Dame Commander» dell’Ordine dell’Impero britannico, Emin riversa gli sconvolgimenti psicologici e fisici affrontati tanto nella diagnosi della sua patologia quanto nel suo successivo viver quotidiano in tele che ci pongono di fronte alla drammaticità dell’esistenza umana. Come ricorda la stessa galleria in una nota, fu proprio «il suo approccio artistico fortemente espressivo, quasi primordiale, a renderla una degli artisti più singolari e affascinanti di oggi», e l’attuale percorso non ne è che la prova.

Pennellate «morbose» color rosso fuoco, nere e blu si alternano nel delineare le stanze da letto e d’ospedale che fanno da sfondo alla maggior parte dei quadri esposti. Ci sono figure che si dimenano, che giacciono accanto al proprio partner, che sembrano rassegnarsi alla propria sorte e alcune, al contrario, che emanano uno zelo che va oltre ogni limite. C’è tutto il caos di chi, pur non avendo le risposte, non smette di cercarle, stupendosi ogni giorno della strada percorsa. Uomini e donne dalle fattezze ed età differenti raccontano lo scorrere del tempo, l’amore, il desiderio, la perdita e la sofferenza che li accompagnano. Più di ogni altra cosa, però, c’è lei, Tracey Emin, senza veli e disarmante nel raccontarsi in prima persona, perché, come da sua stessa ammissione, «non c’è cosa più bella dell’onestà, anche se è dolorosa da guardare».  

«I Followed you to the end» (2024) di Tracey Emin. © Tracey Emin. Diritti riservati, Dacs 2024. Foto © White Cube (Eva Herzog)

Gilda Bruno, 17 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

Tracey Emin senza veli da White Cube Bermondsey | Gilda Bruno

Tracey Emin senza veli da White Cube Bermondsey | Gilda Bruno