Giorgio Guglielmino
Leggi i suoi articoliIn tempo di crisi del mercato, lo scorso 6 giugno veniva venduto all’asta da Phillips New York un bell’acquarello di Sean Scully per 20.320 dollari, diritti inclusi, equivalenti a 18.500 euro. Lo stesso lavoro è stato proposto online il 16 luglio dalla Galleria Edouard Simoens di Knokke, in Belgio, a 42.500 euro. Anche gli artisti e i loro eredi hanno fortemente contribuito a far lievitare in maniera esagerata i prezzi. Un esempio è Lawrence Weiner. Alla sua morte nel dicembre 2021 la famiglia bloccò le vendite delle sue opere dando come motivazione la necessità di archiviarle. Sta di fatto che i suoi «wall piece», che fino alla scomparsa dell’artista avevano il prezzo di 250mila dollari, quando vennero nuovamente immessi sul mercato dai familiari potevano essere acquistati a 350mila dollari.
Un aumento di quasi il 50% su un prezzo che già prima non era certo da saldi di fine stagione! Sempre in tempo di sedicente crisi del mercato, il 26 ottobre la galleria di Marian Goodman a New York apre un nuovo flagship space nello storico Grosvenor Building a Tribeca: 2.800 metri quadrati suddivisi sui 5 piani dell’edificio. Lo spazio verrà inaugurato con una collettiva (da Giovanni Anselmo a Giuseppe Penone, da Tony Cragg a Gabriel Orozco, da Steve McQueen a Julie Mehretu ecc.). Non esattamente un segnale di difficoltà finanziaria… Chiacchierando con uno dei maggiori collezionisti asiatici di contemporaneo ad Art Basel, gli chiesi se avesse acquistato dei lavori. La risposta è stata: «No, le gallerie hanno prezzi folli, sono troppo esosi. In questo momento è molto meglio guardare attentamente alle aste». L’impressione è che artisti e galleristi per anni sono stati abituati a un mercato che si espandeva in termini di collezionisti, e quindi di domanda di opere, e a cui si è fatto fronte chiedendo agli artisti di produrre di più per poi innalzare i loro prezzi.
Ma la cartina di tornasole del prezzo reale di un’opera si ha con il suo passaggio in asta che, proprio perché abbassa i valori, è temuta da galleristi e artisti, a meno che l’artista non sia un geniaccio come Damien Hirst. Il capofila degli Young British Artists nel 2008 mise all’asta da Sotheby’s 223 lavori nuovi, bypassando galleristi e mercanti e ottenendo il 97% di venduto. Abbassare i prezzi è una soluzione poco praticabile perché penalizza i collezionisti che hanno fatto acquisti in tempi di alti costi. Un provvedimento che in parte può calmierare il mercato è quello della riduzione dell’Iva, strada seguita dalla Germania che dal primo gennaio 2025 l’abbasserà sulle opere d’arte dal 19 al 7% mentre in Francia l’imposta sul valore aggiunto scenderà dal 10 al 5,5%. In Italia ammonta tuttora all’esagerata percentuale del 22%. È evidente che un italiano preferisca comprare in Germania o in Francia e pagare le spese di spedizione. Ma la soluzione di più lungo termine sarebbe che artisti e galleristi non aumentassero i prezzi per un buon numero di anni. In 10 anni la forbice tra prezzi di vendita in galleria e stime delle opere offerte in asta si ridurrebbe contribuendo a un mercato più stabile e forse anche più sereno. Qualcuno ci crede?
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