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Alessandro Martini
Leggi i suoi articoli«È stata una grande avventura, e come tutte le avventure della mia vita, compreso il mio primo incontro con Edek [Osser, nostro collaboratore] e l’inizio della collaborazione con il Tg2 fondato nel 1976 da Andrea Barbato, è iniziata in marzo. Era il 2005». In questo numero Tina Lepri festeggia (e «Il Giornale dell’Arte» con lei) le 200 pagelle dedicate ai musei italiani di cui, in vent’anni di «indagine sul campo», ha analizzato sedi, allestimenti, illuminazione, servizi al pubblico, compresa la presenza o meno delle toilette, delle caffetterie, dei bookshop. E dando loro il voto. Ovviamente in questi vent’anni i musei italiani sono cambiati moltissimo, e così di conseguenza la «Pagella dei musei italiani» in cui, ad esempio, la voce sui sistemi informatici è stata introdotta soltanto in anni recenti. «Tutti verifichiamo la rivoluzione delle tecnologie legate al racconto, con un ruolo sempre più importante affidato a display, Qr code, app... In continua trasformazione, i musei spesso testimoniano i cambiamenti sociali e culturali del Paese e del mondo esterno. Pensiamo ai fasciatoi, che analizziamo nella nostra pagella e che sono sempre più presenti nelle toilette dei musei. Ma quasi esclusivamente nei bagni delle donne (perché si presume che a occuparsi dei neonati siano solo le madri...)».
La prima pagella venne dedicata agli Uffizi di Firenze che tornano oggi protagonisti, a vent’anni di distanza. Da allora le Gallerie fiorentine si sono trasformate, così come la gran parte dei musei italiani. «Gli Ufffizi di allora esponevano molte meno opere di oggi, fornivano pochissimi servizi, tutto era meno professionale e organizzato. Ma avevano un fascino strordinario: erano un museo godibile e, anche se già c’erano le code, si potevano ammirare le opere con una relativa calma. Adesso, invece... è diventato un inferno. Le sale sono quasi impraticabili, sempre affollate di persone. Eppure esiste una normativa che pone dei limiti alla presenza in una stessa sala. Di contro, il museo è straordinariamente migliorato nelle modalità con cui si presenta al pubblico, dai sistemi informativi alle nuove tecnologie che aiutano i visitatori a capire e ad appassionarsi. Fondamentali, in anni in cui si studia sempre meno la storia dell’arte. E che riconciliano con gli Uffizi nonostante il sovraffollamento». Non solo tecnologie, però. Grande importanza per i visitatori continua ad avere il personale in presenza, con la sua capacità di raccontare ciò che il museo espone, magari in ambienti secondari ma ricchi di storie e aneddoti. «Ad esempio il MegaMuseo di Aosta, ricorda Lepri, ci dimostra quanto siano importanti le visite guidate, ma anche i custodi informati e appassionati, che spesso aiutano a capire e a godere dell’opera, affiancando le strumentazioni informatiche. Sono loro, in molti musei (soprattutto piccoli), a raccontare le storie dei musei, della città, dei luoghi, coinvolgendo il pubblico nella narrazione. Ti afferrano per farti capire che il museo non è solo, ma è parte integrante della città in cui sorge. In questo un grande aiuto lo danno poi i volontari e il personale fornito dal servizi civile». Proprio i volontari, sottolinea, sono stati «una scoperta entusiasmante. Ad esempio quelli del Museo Archeologico di Chianciano. Come ho raccontato nella mia pagella, sono stati proprio i volontari, con i loro soldi, a costituire il museo nel 1997 per le opere etrusche fino ad allora relegate nei depositi della città. Hanno realizzato le vetrine e tutto il necessario per l’esposizione, compresa la videosorveglianza. Tra i volontari c’erano anche archeologi e geologi che avevano recuperato reperti negli scavi intorno a Chianciano. E a loro il Comune ha affidato la gestione del museo che si mantiene con i biglietti. Ma i volontari sono spesso indispensabili in tutti i musei del Paese, dove sfiorano il 40% degli “addetti” impegnati nell’accoglienza dei visitatori. D’altra parte, la carenza di personale è in continua crescita e il Ministero sempre più povero». Non è una visione del tutto positiva quella di Tina Lepri: «La decrescita mi sembra piuttosto generalizzata. Ci sono luoghi e musei oggi più dimenticati e meno visitati di ieri. Perché? Gli italiani non li conoscono perché studiano meno la storia dell’arte, gli stranieri vengono indirizzati solo nei musei più grandi e pubblicizzati...». Un sondaggio di qualche mese fa indicava un calo della soddisfazione del pubblico rispetto all’offerta e all’esperienza «emozionale» nelle sale. «Quale soddisfazione può avere un visitatore che non trova una toilette all’altezza? Quale un genitore che non trova il fasciatoio in bagno? Quale, poi, se trova il museo chiuso in pausa pranzo o nel pomeriggio? Spesso neanche i siti Internet aiutano, perché magari sono vecchi, non aggiornati... Capita spessissimo, a parte i pochi grandi musei ormai attrezzati. Ma il panorama italiano è fatto di migliaia di musei minori».
Ora l’avventura di Tina Lepri e della sua «Pagella» nei musei si conclude. «Ma continuerò a visitarli, ovviamente, perché mi sono ammalata di musei, confessa. Ancora oggi, per me entrare in un museo significa sperimentare una sorta di sdoppiamento della mia personalità: forse perché li ho sempre guardati dalla parte di chi visita, non dalla parte del giornalista o dell’addetto ai lavori. I musei sono stati forse una malattia, di sicuro una grande passione da cui mi sento totalmente dipendente. La mia droga si chiama museo...».
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