Teresa Scarale
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Uno dei nomi imprescindibili della storia della fotografia di moda, Mario Testino (Lima, 1954; padre di origini italiane, madre di ascendenze irlandesi), si appresta a essere protagonista, a Palazzo Bonaparte in Roma, dal 25 maggio al 25 agosto di «A Beautiful World», sua esposizione monografica in Italia, Paese in cui vive attualmente. Alle pareti, modelle e glamour? Non esattamente. Piuttosto, una ricerca antropologica legata al costume. O meglio, ai costumi. Quelli tradizionali delle popolazioni più arcaiche, quelle in cui il fotografo si è imbattuto nei suoi viaggi, che dal 2017 hanno toccato 33 paesi e che lo hanno «risvegliato», facendogli capire che «quando un paese perde il legame tra la sua storia e il suo abito tradizionale, perisce qualcosa di veramente prezioso». Indubbiamente una svolta, per chi nella sua carriera ha immortalato le icone del XX secolo, come Lady Diana in quello che è stato il suo servizio fotografico più bello, l’ultimo (era il 1997 e il fotografo affermò di averne catturato l’immagine proprio mentre la Principessa del Galles stava liberando se stessa).
La sua carriera ebbe inizio a Londra, dove arrivò poco più che ventenne, «è stata la mia città per 50 anni quasi», mandato dai genitori «perché non stavo combinando molto all’università di Lima. Loro per me avrebbero voluto un titolo, una laurea, in giurisprudenza o economia, non importava. Invece nel mio futuro ci sarebbe stato tutt’altro». Chi lo avrebbe mai detto, all’epoca in cui fotografava modelle emergenti di giorno e la sera faceva il cameriere.
Era il 1976.
Sì. Arrivai nella capitale del Regno Unito perché già lì viveva qualcuno che la mia famiglia conosceva. Non avevo idea di quello che sarebbe successo dopo, che la mia professione di fotografo di moda mi avrebbe portato poi a incontrare e ritrarre personalità come Lady Diana, Madonna, Kate Moss, Tom Ford. Ma quando iniziai a fotografare, la moda era una pratica non ancora così diffusa. I miei miti erano Irving Penn, Helmut Newton, Richard Avedon.
Come è iniziata l’evoluzione artistica che l’ha portata al progetto «A Beautiful World»?
Era il 2017 e dovevo fotografare dei costumi a Cuzco, nel mio Perù. Entrare in contatto con lo spirito arcaico del costume fu per me un’illuminazione. Come scoprire un nuovo mondo: un punto di arrivo e di evoluzione al tempo stesso. Durante gli anni ruggenti delle sfilate e dei servizi quasi soffrivo per essere considerato più un ritrattista che un fotografo di moda. Poi mi sono riconciliato con questa mia identità di fotografo. Di ritrattista. «A Beautiful World» è un progetto che mi consente di esplorare le unicità culturali ancora presenti in questo mondo globalizzato e in rapido cambiamento. Mi è capitato anche di immortalare lotte tradizionali in Africa e di capire che la lotta è un rito, una forma di dialogo. Sa che cosa mi hanno detto, coloro che hanno già visto le fotografie di «A Beautiful World»? Che quando fotografavo le modelle, erano le labbra a parlare; adesso invece parlano gli occhi.
Anche le labbra sono espressive…
Sì. Ma adesso ho allargato il mio campo. Studio l’individualità e il conformismo, il suo rapporto con i rituali e le idee del sé. I simboli, i sistemi delle credenze.
Ha mai pensato di fotografare paesaggi?
No. Io amo fotografare la vita.
Si è allontanato dal mondo della moda in seguito alle accuse che (senza alcuna conseguenza giudiziaria) le sono state mosse nel 2018 da alcuni modelli?
No. Ho sentito che era il momento di «godermi la pensione». Negli anni dei ritmi frenetici della moda mi ero perso compleanni, eventi importanti della vita delle persone che amo. Poi è arrivato il momento di non essere più legato a quei calendari, di godermi la mia libertà e miei affetti.
Che cosa pensa dell’intelligenza artificiale applicata alla fotografia, o della «fotografia» prodotta con l’IA?
Letteralmente, fotografia significa «scrittura con la luce». L’IA è un’altra cosa. Semplicemente, a questo modo di produrre immagini devono trovare un altro nome, non è fotografia. Se penso a me che fotografo, non penso a me seduto a una scrivania che elaboro un file. Mi vedo in viaggio, con una macchina fotografica in mano.
Che cosa è per lei la fotografia dunque?
È documentazione.
Torna ogni tanto in Perù?
Spessissimo. Posso dire che divido la mia vita fra la mia terra d’origine e l’Europa. Il Regno Unito ieri, l’Italia oggi. Sono molto legato ai miei fratelli. Eravamo sette, oggi siamo rimasti in sei.
Dove vive in Italia?
In Sicilia, vicino a Noto. L’Italia è una terra splendida, che merita di essere visitata e studiata.
Colleziona arte, fotografia, altri tipi di «pleasure asset»?
Moltissimo. Sia arte sia fotografia. Mi piace acquistare privatamente, tramite gallerie. Ma non disdegno le aste: a volte sono l’unico modo per avere ciò che si cerca, benché in maniera un po’ dispendiosa. Non amo invece beni prettamente materiali come gli orologi, le auto di lusso, i gioielli e gli oggetti preziosi. Adoro la musica. Noi sudamericani siamo dei tipi da spiaggia, in definitiva.
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