Lewis Bush
Leggi i suoi articoliStephen Shore è considerato un pioniere della fotografia principalmente per due motivi: l’uso del colore in un’epoca in cui non era ancora «la norma» e l’attenzione inusuale per i dettagli banali della vita moderna. Oggi, entrambi questi elementi sono diventati così comuni nel linguaggio fotografico che è difficile immaginare un tempo in cui erano considerati insoliti o addirittura controversi.
Anche nei suoi ultimi lavori, l’artista statunitense riesce a stabilire una connessione tra i suoi interessi originari e la contemporaneità, producendo al contempo qualcosa di inedito e diverso. Nel suo ultimo libro, Topographies: Aerial Surveys of the American Landscape, recentemente pubblicato dalla casa editrice MACK, Shore mette in pratica proprio questo gioco di rimandi tra presente e passato. Guarda indietro nel tempo traendo ispirazione da «New Topographics», mostra tenutasi nel 1975 al George Eastman House’s International Museum of Photography (dove furono esposti i lavori di dieci fotografi, tra cui Shore stesso), passata alla storia per il modo in cui rifiutò le visioni romantiche del paesaggio, allora prevalenti, favorendo invece quelle che ritraevano la realtà della crescita urbana, dell’industrializzazione e della complessa interconnessione tra elementi antropici e naturali.
Ma il suo sguardo è proiettato anche verso il futuro: l’artista assume infatti una prospettiva «più elevata» su questo tema attraverso una tecnologia non disponibile per i fotografi del 1975, impiegando un drone dotato di fotocamera per ritrarre «al di sopra» di ciò che i fotografi topografici dell’epoca hanno documentato ad altezza d’uomo. Il risultato di questa nuova prospettiva è una percezione completamente diversa del modo in cui il naturale e l’artificiale fluiscono insieme nel paesaggio.
Nello sviluppo del libro si percepisce un ritmo preciso: il racconto inizia con immagini in cui è la natura a dominare, mentre gli elementi creati dall’uomo sono minori, come recinzioni o strade in mezzo a vasti paesaggi. Sfogliando le oltre duecento pagine del volume, le strutture create dall’uomo crescono gradualmente, fino a sopraffare la natura in alcuni casi. Il libro comprende fotografie e testi. Ogni immagine riporta le coordinate GPS del luogo in cui è stata scattata, costituendo quasi un invito a cercare il luogo su un motore di ricerca, confrontando così la località vista dal satellite con quella mostrata nello scatto di Stephen Shore.
L’interesse crescente da parte di numerosi artisti contemporanei per la fotografia aerea e satellitare come strumento di espressione artistica, sviluppatosi nell’ultimo decennio grazie all’innovazione continua del settore dei droni commerciali e all’accessibilità delle mappe satellitari, è il contesto in cui si inserisce il lavoro di Shore. Altri progetti, come il film-installazione «The Colony» dell’artista vietnamita Dinh Q Lê, realizzato interamente con filmografia aerea, le anomalie satellitari dell’artista belga Mishka Henner, o la mostra «Levels of Life: Photography, Imaging and the Vertical Perspective», presentata dalla Photographers Gallery di Londra la scorsa estate, sono esempi dell’utilizzo di questi nuovi medium permessi dall’evoluzione tecnologica.
Ma è bene ricordare che questi strumenti non sono «apolitici». Le immagini satellitari sono nate nel sottobosco clandestino della raccolta di dati, con i primi satelliti ottici sviluppati dalla CIA e dall’aeronautica statunitense negli anni Cinquanta, e anche le versioni civili di questi satelliti che esistono oggi hanno ancora molti legami complessi con questo mondo «opaco».
I droni stessi nascono all’interno del complesso dell’industria militare e le loro controparti civili talvolta ne portano il segno. Ad esempio, i droni impiegati da Shore sono stati prodotti da un’azienda cinese, inserita nel 2021 nella lista nera del governo statunitense dopo essere stata accusata di inserire codici intrusivi nei telefoni dei propri clienti e di usare i propri dispositivi per sorvegliare i campi d’internamento dei musulmani uiguri nella regione cinese dello Xinjiang.
Anche le coordinate GPS che Shore usa come didascalie, sebbene a prima vista sembrino innocue, riflettono questo mondo e le sue ambiguità. Il sistema GPS stesso è nato come progetto del Dipartimento della Difesa Americano ed è stato aperto all’uso civile solo nel 1980, inizialmente reso volutamente impreciso nella sua versione pubblica, è stato reso pienamente accessibile da un decreto di Bill Clinton nel 2000. Non è chiaro se Shore sia a conoscenza di queste complicazioni, ma parlarne ci permette di guardare questi paesaggi in maniera diversa.
C’è un ultimo aspetto del GPS degno di nota in relazione al lavoro di Shore. Il sistema satellitare è stato sviluppato per contribuire a rendere più accessibile la geografia, permettendo alle persone di localizzarsi nello spazio e nel tempo con una precisione prima inimmaginabile. Ma l’ironia della sorte ha voluto che producesse anche un effetto opposto: il GPS si è dimostrato così preciso da rivelare cose di cui gli esseri umani non sono a conoscenza, come il lento movimento dei continenti sulle placche tettoniche che si spostano solo di pochi centimetri all’anno, o le minuscole differenze nella velocità di passaggio del tempo causate dalle differenze gravitazionali sulla superficie terrestre. Se quello che fa Shore con il suo lavoro è osservare e studiare le superfici terrestri, il funzionamento del GPS sembra dirci che più si guardano da vicino le cose, meno chiare esse risultano.
Topographies: Aerial Surveys of the American Landscape,
di Stephen Shore, 208 pp., ill., MACK (gennaio 2023), € 75,00
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