Edek Osser
Leggi i suoi articoliIl 2022 è stato un anno speciale per Mirella Stampa Barracco: in dicembre ha compiuto trent’anni la sua importante iniziativa intitolata «La scuola adotta un monumento» (inteso come bene identitario del Paese o della città in cui la scuola si trova), creata, sostenuta e organizzata dal dicembre del 1992 dalla Fondazione Napoli Novantanove che Mirella Barracco presiede.
«Io stessa sono ancora stupefatta di tanto successo, dice oggi. In questi trent’anni sono state più di 3mila le scuole di ogni regione italiana che hanno aderito al progetto e 300mila gli studenti coinvolti. Un’inaspettata esplosione d’interesse che continua a crescere e a espandersi. Il programma dell’“adozione” si è rivelato un vero e proprio cantiere pedagogico che attiva nei bambini e nei ragazzi curiosità e studio, li rende protagonisti e rafforza il loro sentimento di appartenenza a una comunità».
Il concorso nazionale «La scuola adotta un monumento», istituito 8 anni fa, è stato riconosciuto ufficialmente nel 2014 dai Ministeri dell’Istruzione e della Cultura come «esperienza di buona pratica per la conoscenza e la comprensione del patrimonio culturale da parte delle giovani generazioni». Anche lo scorso anno, a Napoli, il 9 novembre è avvenuta la premiazione che ha assegnato diverse medaglie, d’oro e d’argento, alle scuole che hanno condotto al meglio le «adozioni». «Ciascuna, racconta Mirella Barracco, ha anche presentato un video di tre minuti sul monumento scelto che viene inserito nel nostro sito “Atlante dei Monumenti Adottati”. La piattaforma online contiene già più di 1.700 video che descrivono storia e azioni delle scuole sui monumenti adottati. Uno studio dell’Università Federico II di Napoli ha accertato che, attraverso le “adozioni”, proprio nei piccoli paesi gli scolari hanno scoperto una cosa molto importante e positiva: la propria identità».
Per spiegare come sia nato in lei l’interesse, una vera passione, che la spinge da sempre a lanciare e organizzare una serie di iniziative per favorire una crescita culturale diffusa, capace di coinvolgere tutti nella ricerca delle proprie radici e nella promozione di un «nuovo turismo», Mirella Stampa Barracco mette al primo posto il suo amore per Napoli, che possiede un enorme patrimonio di bellezze e tesori troppo spesso trascurati e ignorati dai suoi stessi abitanti: «Dopo la laurea, racconta, ho insegnato a Reading, in Inghilterra, quindi al City College della New York University prima di tornare a Napoli, dove sono stata per anni insegnante di Letteratura inglese alla Federico II. Quello che ho fatto dopo è dovuto certamente alle mie esperienze nei Paesi anglosassoni, dove ho visto la grande attenzione, il rispetto di tutti per il patrimonio storico culturale. La mia nuova vita è iniziata nel 1984, quando con mio marito Maurizio abbiamo creato la Fondazione Napoli Novantanove che ricorda la rivoluzione partenopea e la breve vita della Repubblica Napoletana del 1799. Quando è nata, Raffaele La Capria mi disse: “Mirella, ti avvii ad affrontare la foresta vergine con un temperino”. Quel temperino era la cultura».
Nel 1986 Mirella Barracco, che ha due figli, lascia l’Università per dedicarsi completamente alla nuova impresa: trova uno sponsor a Venezia per il primo restauro scelto dalla Fondazione, quello del Monastero di Santa Chiara, che viene seguito da molti altri, con finanziatori spesso lontano da Napoli. Il costo di alcuni interventi è sostenuto dalla stessa Fondazione, in pratica dai coniugi Barracco.
Il marito di Mirella, Maurizio Barracco, è l’erede di una nobile, facoltosa famiglia di proprietari terrieri che sono stati anche deputati, senatori, studiosi, mecenati con la passione dell’arte. Lui stesso ha tre lauree: come manager e imprenditore con ruoli di alta responsabilità, non solo in Italia, gode di prestigio internazionale e ha sempre condiviso la passione della moglie per la cultura. In poco tempo la Fondazione Napoli Novantanove espande e amplia la propria azione.
«Nei primi anni abbiamo scelto di promuovere il restauro di vari importanti monumenti di Napoli, spiega Mirella Barracco. Dal 1989 abbiamo cambiato strategia e obiettivi. È successo dopo la vicenda dell’Arco di Trionfo di Alfonso d’Aragona in Castelnuovo: a restauro da poco concluso dopo mesi di lavoro, il 7 ottobre ignoti vandali lo hanno sfigurato con lanci di vernice rossa. Ci fu chiaro che dovevamo dedicarci soprattutto alla formazione delle generazioni più giovani, far capire che i monumenti fanno parte della loro storia e per questo devono imparare a conoscerli, amarli e rispettarli». È nel 1992, quindi, che la Fondazione lancia la nuova iniziativa «Monumenti Porte Aperte».
Fu un vero shock culturale che scosse l’intera città ed ebbe grande successo. Il 9 e 10 maggio 1992, ai napoletani fu possibile entrare e scoprire più di 200 luoghi della loro città chiusi e invisibili da decenni: chiese, palazzi, oratori, opere d’arte fino allora ignorati. Un’incredibile sorpresa per gli stessi napoletani, soprattutto per tanti giovani. Da allora la giornata «Porte Aperte» si ripete ogni anno e si è estesa all’Italia e a 8 Paesi europei. Sull’onda di quel successo, nel
dicembre dello stesso 1992 venne lanciata la seconda iniziativa che mira a coinvolgere i più giovani attraverso le loro scuole. «Così abbiamo lanciato “La scuola adotta un monumento”, e la parola magica fu “adozione”», ricorda orgogliosa Mirella Barracco. Sono passati trent’anni da allora e oggi quel progetto non coinvolge soltanto tante scuole delle nostre regioni ma si è esteso a 12 Paesi d’Europa. Nel 2019 si sono aggiunte tre scuole di Porto Alegre in Brasile e altre, di recente, a Buenos Aires in Argentina.
Altri articoli dell'autore
Il mausoleo dedicato al «più sanguinario assassino del colonialismo italiano» appena fuori Roma è criticato da molti, ma rimane
Si dà la precedenza agli oggetti per cui sono arrivate le richieste dagli etiopi, per ora senza grandi successi
L’eccidio e saccheggio di Debre Libanos in Etiopia fu «il più grave crimine dell’Italia». Oggi con difficoltà si cerca di rimediare all’«amnesia collettiva» che ha cancellato la memoria dell’ordine di sterminio illimitato per il quale il colonialismo italiano si macchiò dell’infamia più vergognosa. Ora si impone la complicatissima ricerca di opere e oggetti razziati o ricevuti in dono, andati dispersi. Dove sono?
Era il marzo 1974 quando dagli scavi della necropoli sarda affiorarono 16 pugilatori, 6 arcieri e 6 guerrieri: 44 sculture in frammenti. Stanziati ora 24 milioni di euro per nuovi cantieri e ricerche nella penisola del Sinis