Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliÈ Giusto o non è Giusto? Naturalmente, la domanda non ha un carattere etico ma riguarda i dipinti assegnati al pittore fiammingo Giusto di Gand (1430 ca-1480 ca), con una piccola valanga che coinvolge anche il cosiddetto Pietro Spagnolo, identificato da molti storici dell’arte italiani come Pedro Berruguete (1450/60 ca-1504 ca). I loro destini si sono incrociati nella raffinata corte urbinate di Federico da Montefeltro e, più recentemente, in un convegno internazionale che si è tenuto dal 13 al 15 maggio a Roma e a Urbino.
Fin dal titolo, «Giusto di Gand Reconsidered», il simposio prefigurava riletture e opinioni variegate, presentate e discusse da studiose e studiosi nell’Academia Belgica a Roma, nell’Aula magna di Palazzo Battiferri dell’ateneo di Urbino e, nella tappa finale, nella Galleria Nazionale delle Marche a Palazzo Ducale. Hanno organizzato l’appuntamento Francesca Bottacin, dell’Università di Urbino Carlo Bo, e Bart Fransen, capo del Centro studi dei primitivi fiamminghi del Royal Institute for Cultural Heritage di Bruxelles.
Proviamo a districare il filo della matassa. Anzi tutto Fransen ha definito una autentica «odissea» l’attribuzione a Giusto del «Trittico del Calvario» della Cattedrale di San Bavone a Gand (Belgio) proposta nel 1916 da Friedrich Winkler. «Non è mai stato fornito un motivo tangibile per considerarlo l’autore del Calvario», ha rimarcato Maximiliaan Martens, professore senior di Storia dell’arte all’Università di Gand, quando con voce cordiale, e con la sua folta barba bianca, ha tirato le fila del convegno. «Le risorse per la ricerca scientifica odierna sono molto diverse da quelle dell’epoca di Winlker», ha chiosato Fransen.
Scherzando ma non troppo, Martens ha definito Francesca Bottacin «più una separatista che un’unionista» sul catalogo del pittore fiammingo, individuando così due correnti: i «separatisti» e gli «unionisti». Come mai? La studiosa, insieme ad altri, non pensa che siano per forza di Giusto il «Trittico» di Gand e la severa «Adorazione dei Magi» del Metropolitan Museum di New York: in ogni caso non ritiene che l’autore di quelle opere sia lo stesso della «Comunione». «Analisi vecchie e più recenti sul “Calvario” e il dipinto di Londra su Federico e Guidubaldo indicano sia più mani (come le si riscontrano nello Studiolo), sia tecnica e disegno diversi rispetto alla “Comunione”», commenta Bottacin a «Il Giornale dell’Arte».
Maryan Ainsworth e Sophie Scully, rispettivamente curatrice emerita di Pittura europea e conservatrice associata al Metropolitan Museum of Art di New York, dopo aver ammesso che il «loro» Giusto possa non essere lo stesso pittore che ha lavorato alla Corte di Urbino, hanno estratto le armi: la struttura geometrica della composizione può ricordare i dipinti di Piero della Francesca per Federico, l’architettura sullo sfondo suggerisce che l’«Adorazione», eseguita con una tecnica diffusa nelle Fiandre e in Germania nel ’400-500 detta «Tüchlein», non sia stata dipinta nel Nord Europa bensì in Italia. Martens ha iscritto le due studiose tra gli «unionisti» e ha osservato come similitudini del dipinto newyorkese con la «Comunione» indichino che l’autore «sia stato esposto al gusto innovativo della Corte di Montefeltro».
C’è poi il dipinto su Federico e il piccolo Guidobaldo mentre ascoltano un’orazione, conservato nel palazzo reale inglese di Hampton Court. Nicola Christie e Ian Lorne Campbell del Royal Collection Trust (proprietario del dipinto) lo reputano di un artista a conoscenza di tecniche in voga nei Paesi Bassi e sconosciute in Italia e in Spagna, quindi compatibile con Joos van Wassenhove, il nome fiammingo di Giusto di Gand (o Giusto da Guanto). Inoltre gli inglesi ritengono siano di Giusto e bottega le due arti liberali della National Gallery a Londra, la «Musica» e la «Retorica» (altre due andarono perdute a Berlino durante la Seconda guerra mondiale). Di contro, la mostra del 2022 nel museo marchigiano «Federico da Montefeltro e Francesco di Giorgio. Urbino crocevia delle arti (1475-1490)» espose quelle arti liberali come opere di Berruguete.
Si riapre così il problema dello spagnolo. A lui e a Giusto vengono ascritti gli «Uomini illustri» dello Studiolo di Urbino. Per più studiosi, invece, lì sono intervenuti anche altri artisti, in una sorta di cantiere collettivo, non solo i due maestri. Non finisce qui. La Galleria Nazionale delle Marche di Urbino assegna il suo «Ritratto di Federico da Montefeltro col figlio Guidobaldo» al solo Berruguete. Orbene, nel simposio lo studioso dell’ateneo madrileno Fernando Marías ha sollevato dubbi perfino sull’identità e sulla presenza urbinate dell’artista: esperto di pittura rinascimentale spagnola, ha ricordato di aver trovato negli anni ’90 un documento su un Pietro Spagnolo attivo a Urbino che, ha sostenuto, è un pittore diverso dal Berruguete. Al contrario Machtelt Brüggen Israëls dell’Università di Amsterdam, che sta scrivendo un libro sullo Studiolo, dà per scontato che quel doppio ritratto sia del Berruguete. Una certezza? La conoscenza procede per tappe, non con un’unanimità senza confronti e dibattito.
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