Karin Gavassa
Leggi i suoi articoliFortnite è un videogioco che conta oltre 400 milioni di giocatori in tutto il mondo e che negli ultimi anni è diventato quasi una piattaforma per eventi in cui si sono tenuti concerti spesso surreali e spettacolari, situati in universi paralleli e spiazzanti. Ma allo stesso tempo sono arrivati a ospitare 12 milioni di spettatori per le star della musica, tra cui Travis Scott e Ariana Grande. Che cosa succede però se la possibilità di raggiungere un pubblico così enorme si applica al campo dell’«edutainment»?
La «gamification» sta trovando vasta applicazione in campo museale. Grazie al gioco, l’apprendimento avviene attraverso un modo diverso di affrontare temi complessi che le nuove generazioni spesso percepiscono lontani dal loro mondo, come ad esempio quelli storici. Luc Bernard, game designer, ha concepito così «Voices of the Forgotten», un museo virtuale dedicato all’Olocausto approvato dalla Epic Games proprietaria di Fortnite. Bernard afferma che l’ispirazione per un museo dell’Olocausto in un videogioco è venuta sia dalle qualità narrative intrinseche del mezzo, sia da una significativa preoccupazione per la recrudescenza del neonazismo negli Stati Uniti, insieme all’urgente necessità di reagire al recente aumento dell’odio e dell’antisemitismo parlando al più ampio numero di persone possibile.
I musei hanno trovato soprattutto durante il lockdown la possibilità di continuare la propria missione e mantenere il rapporto con il proprio pubblico sia in metaversi appositamente realizzati sia in quelli già esistenti come Fortnite e Roblox, i primi a essere nati. Luoghi in cui del resto avvengono dinamiche relazionali molto simili a quelle del mondo reale: lo stesso Bernard è stato attaccato quando il suo progetto museale è stato reso pubblico per la prima volta. Le «emote» (danze o altre azioni che i giocatori possono eseguire) e la chat vocale sono state disabilitate nello spazio del museo virtuale e, sebbene alcuni giocatori abbiano cercato di bloccare la vista delle mostre stando in piedi di fronte a esse con i propri avatar, la risposta è stata ampiamente positiva. «È emozionante vedere dove ci porterà tutto questo, che non sostituisce i musei veri e propri ma permette semplicemente a chiunque nel mondo di accedervi e di avere la stessa consapevolezza», conclude Bernard.
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